di Daniele Santi
I più duri e più puri tra i protagonisti del fenomeno grillino dal 2013 alla morte prossima ventura, si sono sempre distinti per i toni pacati e la verbosità gentile [sic] per quanto torrenziale, cosa che lettrici e lettori ricorderanno molto bene.
Nel giorno di Zelensky alla Camera, si apre il problema dello scalpo di Petrocelli, presidente della Commissione Esteri del Senato, mica uno qualsiasi, che non ha partecipato alla seduta congiunta di Camera e Senato in occasione del discorso del presidente ucraino, ed ha auspicato, nell’immediato post Zelenski, l’uscita del M5S da un “governo interventista”, che “vuole fare dell’Italia un paese co-belligerante”. Che c’è una guerra in atto e che l’Italia sta inviando armi a Zelenski se n’è accorto un po’ tardi, per essere presidente della Commissione Esteri del Senato.
Così mezzo parlamento lo vuole dimissionario. Lui, a conferma del fatto che i grillini non sono per niente attaccati alla poltrona, li manda a quel paese, cioè rimanda la proposta ai mittenti. Che sono molti: primo fra tutti il suo partito. Poi il partito di Calenda, Italia Viva, Forza Italia, tra gli altri… C’è chi tenta di spegnere i fuochi dichiarando che la “linea del Movimento non la decide Petrocelli e mi pare chiara la direzione che abbiamo preso rispetto alla guerra in Ucraina” donc Petruccelli “parla esclusivamente a titolo personale e non rappresenta altri che se stesso”, dice Sergio Battelli, presidente della Commissione Politiche Ue della Camera. Ma la domanda è: può il presidente della Commissione Esteri del Senato parlare “a titolo personale” su una questione sulla quale il Governo di cui fa parte ha già deciso di sostenere? E lui dove stava?
Ora tocca aspettare la consegna delle dimissioni. Alla fine del tira e molla.
(23 marzo 2022)
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