di Vittorio Lussana
Dopo la Giornata internazionale della donna, celebratasi l’8 marzo scorso e finalmente arricchita da una serie di iniziative e manifestazioni intelligenti e originali, veniamo a proporre alcune considerazioni che consideriamo basilari nel merito delle tematiche relative alla cosiddetta parità di genere. La nostra impressione, infatti, rimane quella di una società ancora troppo imbevuta di maschilismo in quanto forma di narcisismo. Siamo cioè di fronte a un notevole ritardo culturale, anche se non esclusivamente italiano: un non voler rinunciare a un’obsoleta concezione di unicità conformista chiusa in se stessa, che non tollera il pluralismo, le specificità e le peculiarità di una donna o del singolo individuo in generale.
Insomma, non sempre il gallismo virile discende da una sorta di sadismo o dal tentativo di schiavizzare l’altro sesso all’interno del rapporto di coppia, affinché tutto possa incanalarsi dentro una visione statica e immutabile dei rapporti tra i generi. Più semplicemente, la violenza spesso riempie un vuoto di pensiero: quando il dialogo tra due persone s’interrompe, la violenza tende a prendere il posto della parola. Tutto ciò ricorda l’episodio biblico della Torre di Babele: una sfida degli uomini contro Dio in nome dell’unicità dell’umanità. Tuttavia, Dio interviene ricreando divisioni, rigenerando la diversità di lingue, culture, abitudini e tradizioni.
Detto in termini laici, la norma di legge determina sempre una distinzione attraverso se stessa e i suoi effetti giuridici. La stessa democrazia è “la necessità di una traduzione” per comprendersi tra diversi, tra generi distinti, più in generale tra esseri umani. Il vero problema è pertanto quello di un ‘machismo’ quasi mai consapevole delle conseguenze dei suoi atti. Si tratta di una grave fuga dalle responsabilità storiche della cultura maschilista, dal non riuscire a interrompere una catena di atti violenti e disumani. Ma laddove le parole vengono a mancare, non può esserci cultura umanista, né umanità in senso pieno e completo. Ciò rappresenta un nostro limite collettivo: non riusciamo a comprendere che la legge non dev’essere applicata senza pietà. La superiorità della norma giuridica, la sua vera ‘forza’, non risiede affatto nella capacità di infliggere una pena contro chi ha commesso un delitto. Alla violenza, lo Stato di diritto non può rispondere con una violenza equivalente. Al contrario, se lo Stato non è il primo a interrompere la ‘catena’ della violenza non si potrà mai veder realizzato qualsiasi disegno complessivo: quello di una società impregnata di valori e princìpi autentici e da un rapporto di “fratellanza solidale tra cittadini”, tanto per citare quel Giuseppe Mazzini di cui ricorre, proprio in questi giorni, il 150esimo dalla scomparsa.
Il gallismo virile e machista deve perciò compiere uno sforzo, in tal senso, per comprendere meglio la questione della diversità, della duplicità, della molteplicità di visioni e punti di vista, abbandonando lo schematismo statico della divisione dei ruoli all’interno della società. In tal senso, la giornata dell’8 marzo può tornare ad avere un senso se diviene memoria, se l’uomo diventa consapevole di portare su di sé il peso di un’enorme responsabilità storica.
Ciascun cittadino non è responsabile dei propri atti sic et simpliciter, bensì lo è anche nei confronti degli altri. Se esso rimane confinato nella propria ‘unicità narcisista’, non riuscirà mai a spezzare la catena di violenza, in particolar modo contro le donne. Per recuperare una propria identità, l’uomo deve comprendere che egli, all’interno della società, è responsabile anche verso la propria compagna, verso i suoi fratelli, nei confronti della società stessa. Se le cose vanno male – o spesso ‘finiscono’ male – significa che abbiamo sbagliato qualcosa da qualche parte.
Noi maschi latini dobbiamo cominciare ad ammettere questa nostra parte di responsabilità. Una nuova etica laica di fratellanza diventa possibile solo se essa si fonda sulla responsabilità dei nostri atti e sulla consapevolezza delle loro conseguenze. E’ questo il percorso a cui dobbiamo aprire le porte, poiché la fratellanza diviene un percorso possibile solo quando s’interrompe la furia cieca della violenza, comprendendo bene, che non si tratta di un principio storicista, bensì perfettamente laico, niente affatto simbolico. Ma anche la Storia è tenuta a cambiare, diventando un qualcosa di diverso da quel lungo elenco di massacri avvenuti nel passato. La Storia non può più limitarsi a raccontare le vicende di “una masnada di assassini”, per dirla con le parole di Sigmund Freud. E’ questo il vero limite delle ideologie storiciste: esse non comprendono che la Storia appartiene, essa stessa, alla filosofia. Ed ecco quale sarebbe la vera funzione dell’8 marzo: ricordarci che è giunto il momento di fare un salto di qualità, come uomini, come italiani e come europei. Dobbiamo avere il coraggio di spezzare la catena di violenza della Storia, imparando a rapportarci con la diversità e con l’Altro. Siamo ormai costretti a farlo: non possiamo continuare a fuggire innanzi a noi stessi.
(11 marzo 2022)
©gaiaitalia.com 2022 – diritti riservati, riproduzione vietata