di La Redazione
C’è veramente qualcosa di surreale nella pretesa di Djokovic e dei suo codazzo di avvocati, di essere al di sopra delle leggi di uno stato sovrano. C’è qualcosa di surreale nel modo in cui questa provocazione è stata condotta, decisa, forse studiata studiata; così come è surreale che la Serbia convochi l’ambasciatore australiano per una scorrettezza formale di un proprio cittadino sul suolo australiano; come è inaccettabilmente surreale che il padre dell’atleta dichiari: “Lo tengono prigioniero, pronti a ritrovarci in strada per lui. È lo Spartaco del nuovo mondo”, come riportato dal Corriere o che il ministro dello Sport serbo Vanja Udovicic, dichiari “Sono scioccato da quello che sta succedendo a Novak, e non posso credere che qualcuno si dia il diritto di molestare [sic] il miglior atleta del mondo in questo modo”.
E’ evidente il grande insormontabile problema del nostro tempo: troppi si credono superiori alle leggi di uno stato sovrano in nome di un proprio credo [sic] personale farcito di protervia, arroganze, pregiudizi ed ignoranza che si pretende di esportare ritenendo se stessi, evidentemente, superiori alle leggi di uno stato sovrano.
Succede quando ciò che si ritiene di essere, spesso molto al di là di ciò che si è, viene ritenuto così importante da pensare che il proprio nome e cognome aprono qualsiasi porta, in sfregio alle regole di un paese sovrano, sentendosi fin troppo simili a un dio. Al tennista potrebbero esplodere tanto la racchetta che tanto abilmente stringe con la destra, quanto la carriera vincente che lo ha fatto sentire, agli occhi suoi, di famigliari e concittadini, emissario di certo nazionalismo un po’ cieco e un po’ troppo arrogante portandolo a volere essere sopra la Legge.
(6 gennaio 2022)
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