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Il bullismo è una guerra vera, da combattere

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di Giuseppe Sciarra, #Bullismo

È incredibile come un passato lontano che ci ha distrutto l’infanzia e l’adolescenza ci lasci freddi. Mi sento distante da certi trascorsi, come se facessero parte di una vita che non mi è mai appartenuta e che conosco perché mi è stata raccontata. Il mio approccio a quell’odio insensato che ho subito quando ero un bambino innocente, è un’ulteriore conferma di come ho superato certi traumi e di quanto sia cambiato. È proprio questo distacco, questa freddezza maturata nei confronti della mia tragedia personale che mi danno la forza di combattere e andare in guerra: la lotta al bullismo è infatti una guerra in cui bisogna ogni giorno sradicare un’educazione atavica che autorizza i bulli a fare quello che vogliono, esercitando violenza e commettendo atti delinquenziali liquidati come bravate o riti di iniziazione da un sistema che vuole i maschi e le femmine in un dato modo.

Il pensare che i miei carnefici si sentissero autorizzati a umiliarmi, picchiarmi, minacciarmi perché non rappresentavo lo stereotipo inculcato da una cultura malata che ci vuole ignoranti e schiavi del patriarcato, è l’ennesima conferma di quanto viviamo in un perenne medioevo dove siamo lasciati allo sbaraglio se non indossiamo quelle maschere sociali prestabilite, da una discutibile e spietata mentalità machista dura a morire.

In Italia dovrebbero cambiare molte cose in materia di bullismo perché la giustizia non fa il suo corso come dovrebbe nel punire chi induce un bambino, un’adolescente o un giovane, al suicidio. Troppi casi di morti indotte dai bulli vengono archiviati. Troppi colpevoli restano impuniti per la loro giovane età. La sensazione è che ci sia un’indulgenza da parte delle istituzioni che tendono ancora a sminuire certe vicende relative soprattutto a minori. Nel mio corto “Ikos” lo dico forte e chiaro “se mi sono salvato e non sono morto è per far capire chi sono i bulli con la mia storia e quanto il problema penalmente non sia affrontato come si dovrebbe”.

Nel paese in cui ho vissuto con la mia famiglia fino a quattordici anni, ero perseguitato dai bulli, volevano farmi del male per gioco e cattiveria e indurmi a morire (era fin troppo chiaro il loro folle modus operandi di delinquenti vigliacchi in erba senza se e senza ma), altro che bravate! Nessuno mi ha teso una mano in quei momenti di difficoltà, nessuno mi ha aiutato, alcuni ragazzini che non mi hanno aggredito fisicamente e verbalmente come altri, si sono comunque goduto lo show ripetuto della mia agonia e delle mie torture: spettatori ignavi e incoscienti – le definisco agonie e torture non a torto, senza esagerare perché è ciò che sono state.

Il problema però, agli occhi di tutti, era mio. Mio perché non sapevo difendermi e non mi adeguavo alle dure leggi del patriarcato, quindi me la cercavo (se non fai a botte al sud sei un maschio da meno rispetto agli altri). Mentre i bulli mi massacravano molti miei coetanei dell’epoca mi emarginavano, perché non era opportuno essere amici di uno sfigato e di un frocio – per proteggermi a mia volta mi sono chiuso in me stesso e auto emarginato, (o questo o la mia testa che sarebbe stato il trofeo della follia dei bulli) – mentre continuavano e continuano a chiamare la loro crudeltà col termine inappropriato di bravata. Nel mio caso di certo non lo era.

Tra gli otto e i quattordici anni il carico di pugnalate che ho ricevuto alle spalle  mi aveva alla fine persuaso di essere sbagliato, di meritarmi la calunnia (perché ho subito anche quella) la derisione, la violenze e che quindi dovevo ammazzarmi. Chi si fingeva mio amico per poi deridermi alle spalle forse era anche peggio di chi mi bullizzava apertamente. Ricordo che un compagno delle medie che negli anni di scuola non fece mai nulla apertamente contro di me, anzi si finse mio amico, un bel giorno dopo anni, improvvisamente si risvegliò dando finalmente libero sfogo alla sua reale volontà: che era quella di canzonarmi apertamente dopo averlo fatto alle spalle per molto tempo, mentre io non volevo vedere la realtà perché mi ostinavo di credere che un amico ce l’avevo.

L’anno in cui tentai di suicidarmi (a causa sua e di quelli come lui, anche se per supposta mia decisione) ingerendo delle pillole e subendo una lavanda gastrica, l’amico delle scuole medie decise di rivelarsi in tutta la sua magnifica mostruosità senza motivo, davanti a tutti e in un giorno d’estate, fece più volte battute imbecilli sul mio orientamento sessuale, che doveva avere più chiaro di quanto non lo avessi io, per motivi inspiegabili o forse spiegabilissimi. Da lì in poi tutte le volte che mi vedeva c’erano battutine e ingiurie nei miei confronti. Ne fui sconvolto. Un amico che si rivela nemico peggiore degli altri può tanto male più di un pugno.

Tutto questo per dire che il bullismo è una guerra vera che deve essere assolutamente combattuta. Affinché non ci siano altri adolescenti che subiscano quanto ho subito io perché non ero infame, vigliacco e squallido come certi miei coetanei. Ma solo differente. E il mio orientamento sessuale, o presunto tale, con la loro crudeltà c’entrava assai poco.

 

(23 novembre 2021)

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