di Marco Biondi, #iolapensocosì
Sono anni che sentiamo politici di professione prendere posizioni assolute a seconda della loro collocazione politica: se parlano di iniziative a favore delle aziende sono di destra, se invece sono a favore dei lavoratori, sono di sinistra.
Ha ancora senso una distinzione così categorica? Non è il caso di rivalutarla?
Io ci provo.
La mia prima considerazione è forse la più semplice. Qualsiasi iniziativa a favore di chiunque parte dalla raccolta fiscale dello Stato. Quindi, prima di parlare di come destinare i fondi pubblici tra investimenti, servizi e sussidi, a mio avviso è utile parlare di come generare i fondi ai quali attingere.
Parliamo delle famose tasse, che non possono che venire dai redditi prodotti.
Il primo assunto costantemente sbagliato da parte di una frangia che si definisce di sinistra, è quindi la demonizzazione del profitto. Se le aziende fanno profitti, automaticamente generano anche tasse che sono versate allo Stato. Se non ci sono utili, non ci sono tasse. Inoltre, se le aziende “vanno bene”, generano posti di lavoro, se vanno male, e quindi sono in perdita, i posti di lavoro diventano fortemente a rischio. Alla stessa stregua, possiamo valutare la proposta ricorrente di “patrimoniale”, ossia di prelievo fiscale sui patrimoni. Se i patrimoni sono messi a reddito, generano a loro volta tasse, se invece i patrimoni, di qualunque natura essi siano, venissero tassati per il solo fatto di esistere, forte sarebbe la tentazione da parte dei loro possessori, o di disfarsene vendendoli o, magari, di trasferire i loro capitali all’estero. In poche parole, se un patrimonio immobiliare oggi è dato in affitto, sugli affitti lo Stato genera entrate fiscali, se invece lo stesso patrimonio dovesse essere aggredito dallo Stato semplicemente per la sua esistenza, il suo titolare avrebbe due strade: alzare gli affitti per recuperare le maggiori tasse, o mettere in vendita i suoi immobili per poi utilizzare la liquidità in altri settori, magari all’estero o su investimenti a maggior rendimento o a minore imposizione fiscale.
In conclusione, io sono convinto che sia interesse di tutti, evitare di appesantire il prelievo fiscale sulle fonti di reddito.
Perché allora i cosiddetti sinistri si ostinano a penalizzare manovre di riduzione delle tasse sulle aziende, bollandole come iniziative “di destra?”
Le manovre fiscali lungimiranti, da parte dello Stato, dovrebbero essere quelle che incentivano lo sviluppo economico. L’agevolazione fiscale su azioni che possono migliorare fortemente i profitti e aumentare i posti di lavoro da una parte ridurrebbe apparentemente nel breve l’introito da parte dello Stato, ma in prospettiva lo farebbe aumentare, sia per il prelievo sugli utili aziendali che per le tasse e i contributi che vengono generati dal lavoro dipendente.
Quando sento parlare i saccenti sinistri di ridurre il carico fiscale esclusivamente sui lavoratori, non posso non pensare che la cosa sia, di per se, sbagliata in partenza, se non viene accompagnata da iniziative atte ad aumentare l’introito generale. Perché se non si creano le condizioni per far aumentare la redditività delle aziende che generano lavoro, non si fa altro che pretendere di attingere da risorse che non ci sono.
Facciamo un caso pratico: si parla di riduzione del cuneo fiscale per favorire un aumento del “netto in busta”; benissimo. Magari, al costo di quegli 8 miliardi messi a budget nella prossima manovra, ogni dipendente potrebbe ritrovarsi qualche euro in più in busta paga. Ma pensiamo davvero che quei 4 o 5 euro sarebbero poi spesi per far girare l’economia? Se invece questi fondi fossero messi a disposizione per ridurre il peso fiscale e contributivo sui nuovi assunti, o per ridurre il costo del lavoro rendendo così meno competitiva la produzione estera di beni e servizi che così spesso penalizzano le produzioni locali, non sarebbe meglio?
Se però fare questi discorsi è “di destra”, allora meglio non farli. E’ decisamente più importante per i nostri partiti, “apparire” di sinistra per attirare più voti. Al benessere della popolazione loro possono tranquillamente pensare in un altro momento. Quando si parla di populismo, ormai si pensa a Salvini e a Grillo. Non sono solo loro i populisti. Ai populisti si sono aggiunti coloro i quali fanno discorsi e programmi basati sul consenso elettorale e non su azioni concrete che possano davvero incidere sulla ricchezza generale della popolazione.
Fare questi discorsi non significa non preoccuparsi di chi sta peggio, dei nuovi poveri, degli emarginati. Per sperare di risolvere in via definitiva il malessere di queste categorie di persone, è essenziale prima pensare a generare le risorse e a creare le condizioni perché continuino a prodursi anche in futuro. Altrimenti torniamo alle “mance elettorali” ma senza mai risolvere i problemi alla radice.
Adesso potete anche dire che sono di destra. Non mi offendo, credetemi. Basta che non mi diate del fascista, perché in quel caso si che me la prenderei.
E se fosse che i nostri problemi risalgano al fatto che dalla sparizione della DC il nostro Paese non ha mai più avuto una destra economica democratica che potesse fare questo tipo di discorsi?
(6 novembre 2021)
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