di Vittorio Lussana, #giustappunto
Leggere alcuni dati della recente tornata amministrativa è stata un’esperienza rincuorante. E’ vero che la destra italiana rimane sicuramente competitiva, ma osservare un dato di lista del Pd di Enrico Letta arrivare, in quel di Milano, al 34% dei consensi, così come a Napoli e a Bologna, sembra farci pensare a un’ondata populista ormai in via di superamento. Noi, ovviamente, non siamo organicamente legati al Partito democratico. Tuttavia, oggi sappiamo di poter fare affidamento su una formazione attorno alla quale costruire un’alternativa credibile per l’Italia, rispetto a un centrodestra completamente privo di un progetto politico, interessato unicamente a vincere le elezioni, ma non a governare il Paese.
Attenzione, però, ai trionfalismi: le vittorie amministrative spesso non vengono seguite da esiti altrettanto positivi nelle successive consultazioni. Anche perché, in genere chi perde tende a riorganizzarsi e ad acconciarsi meglio agli appuntamenti decisivi. In secondo luogo, l’alto astensionismo dell’elettorato ci consegna un altro elemento di riflessione: la nebulosa qualunquista italiana, quella del cosiddetto familismo amorale, totalmente privo di scrupoli e princìpi, ha semplicemente deciso di rimanere alla finestra, in attesa di qualcosa che possa interessarla maggiormente. Il nostro sistema democratico rimane, pertanto, ancora esposto al populismo demagogico.
Da qui alle prossime elezioni politiche bisogna costruire un’alternativa credibile per gli italiani, che li convinca a respingere l’infantilismo animista delle forze sovraniste, le quali tendono a proiettare la propria malignità sugli altri. Le destre italiane sono un po’ come quel bambino che, correndo, sbatte contro una sedia e, nel momento della dolorosa contusione, se la prende con la sedia stessa, come se quest’ultima si fosse spostata da sola per fargli un dispetto. E’ un antico esempio freudiano quest’ultimo, che spiega assai bene l’immaturità politica di una parte del nostro Paese. Per dirla con Carlo Calenda, che finalmente è emerso, con pieno merito, come l’esponente politico che più di altri ha compreso la questione della sottorappresentanza di alcune realtà sociali, politiche e persino culturali del nostro Paese, adesso bisogna costruire una gamba di centro, che sappia svolgere una precisa funzione di stabilizzazione del nostro sistema democratico e rappresentativo.
Tornando, invece, alle pacchiane vicende delle destre di casa nostra, la richiesta da parte di Giorgia Meloni di visionare l’intero materiale relativo all’inchiesta condotta da Fanpage.it e rilanciata su La7 dalla redazione di Piazzapulita, è stato un atto d’ingenuità pazzesca: l’esigenza di preservare le fonti impedisce persino ai magistrati di controllare un materiale protetto da un diritto di proprietà intellettuale. In pratica, un giornalista può consentire una visione anche ampia delle informazioni di cui è entrato in possesso, mantenendo però il diritto a tagliare tutto il girato relativo a persone, ambienti e luoghi che potrebbero risultare riconoscibili, anche se presentati in forma anonima o puramente di contesto.
Oltre a ciò, accusare immediatamente la redazione di Fanpage.it di aver montato un servizio falso e indirizzato ideologicamente, ha segnalato un certo nervosismo da parte della leader di Fratelli d’Italia, che l’ha subito condotta verso ipotesi difensive totalmente campate per aria, anche relativamente alla decisione di Corrado Formigli di mandarlo in onda su La7 a pochi giorni da una consultazione elettorale: punto primo, si tratta di decisioni di stretta pertinenza professionale dei giornalisti; punto secondo, se quell’inchiesta fosse stata proposta prima o dopo, essa rischiava di risultare bruciata – un termine gergale, che fa riferimento al momento in cui una notizia può interessare maggiormente l’opinione pubblica rispetto ad altri, che invece la farebbero passare quasi inosservata o parzialmente oscurata da altre di distinta attualità.
Insomma, anche la leader Meloni sembra manifestare una concezione della politica legata a una sorta di superomismo arbitrario. Noi non crediamo che la leader di Fratelli d’Italia sia abituata alle veline degli anni ’30 del secolo scorso. Tuttavia, ella sembra mostrare una certa ingenuità nel ritenere che un leader politico, anche potente, sia sostanzialmente non controllabile. E’ lo stesso errore delirante che commise Matteo Salvini nell’estate del 2019, quando parlò di “pieni poteri”: il potere, in democrazia, dev’essere controllato e prevede sempre dei contrappesi. Non registrare tale principio, significa essere ancora molto lontani dalla democrazia, che è poi il vero problema della destra italiana, la quale sembra proprio non riuscire ad adeguarsi a un Paese che vorrebbe diventare, finalmente, normale.
(7 ottobre 2021)
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