di Vittorio Lussana, #giustappunto
Spendo volentieri due parole in favore della candidatura di Bobo Craxi, capolista del Partito socialista italiano alle prossime elezioni comunali di Roma. Innanzitutto, torna il Garofano rosso sulle schede elettorali e questa, già di per sé, è una notizia. Tuttavia, il fragile stato di salute di quel poco che è rimasto del glorioso Partito di Treves e Turati, ma anche di Nenni e Craxi, merita un endorsement, al fine di sottolineare l’importanza di un ritorno non tanto alle appartenenze ideologiche, bensì a quelle culturali. Si tratta, infatti, di quella parte del socialismo italiano non democristianizzata, composta da compagni tutto sommato ortodossi, che credono fermamente in una ricostruzione del panorama politico italiano riagganciato alle culture politiche più autentiche, fondato su solide basi dottrinarie. Una piccola formazione che, da quasi due decenni, rimane inchiodata attorno a un 1%, posizionandosi in un centro laico storicamente sottorappresentato.
In secondo luogo, siamo di fronte al Partito più antico d’Italia, ancora oggi portatore di un Dna riformista che servirebbe come il pane, tanto al Paese, quanto all’Europa. Non è possibile che molti richiami culturali debbano essere ricordati a ogni Partito come correzioni di completamento di provvedimenti esecutivi, affinché non diventino norme demagogiche o inapplicabili. Il discorso risulta complesso ai più, me ne rendo pienamente conto: sono anni, ormai, che imploro una gamba laica in grado di svolgere una funzione di cerniera, finalizzata a stemperare gli animi e a riequilibrare la politica italiana, stabilizzandola. Niente da fare: nessuno capisce e, anche chi comprende, pensa innanzitutto al proprio destino.
Intorno alla questione delle polarizzazioni, si sappia che non ci sono solamente i No vax di destra o di sinistra: anche molte posizioni moderate o centriste sono tali solo formalmente, come pura immagine dettata da esigenze di propaganda. Più che concentrarci sulle polemiche relative agli esiti giudiziari dell’epoca di Mani Pulite, dovremmo cominciare a riflettere sulla deriva qualunquista scaturita come conseguenza, con Partiti caratterizzati da richiami culturali sempre più deboli e una nomenclatura composta da formazioni denominate con semplici verbi imperativi (Vinciamo; Cambiamo), astratte velleità (Azione; Liberi e Uguali), posizionamenti difensivi (Partito democratico); richiami movimentisti (M5S); parentele scomode (Fratelli d’Italia).
In tale situazione, gli unici a essere rimasti coerenti a una dottrina politica ben precisa sono i socialisti, i radicali è un’ombra di liberali perennemente impegnati alla ricerca di un elettorato che, purtroppo, non esiste più. Da più di due decenni, televisioni e giornali impongono all’attenzione del popolo italiano leader e personaggi totalmente privi di tradizione politica, che esprimono identità confuse. Il Pd mantiene un proprio aggancio con la riflessione di Antonio Gramsci, mescolata a quella di Don Minzoni: un’osmosi vagamente rodaniana, alla Adriano Ossicini; in Forza Italia, il riformismo liberale einaudiano fa capolino alternato con il moderatismo popolare di Alcide De Gasperi; infine, in Fratelli d’Italia c’è chi torna a frequentare (Veneziani e altri) i sentieri culturali gentiliani, oppure cerca di recuperare la mistica poetica del decadentismo di Gabriele D’Annunzio ed Ezra Pound.
Poi ci sono la Lega e il Movimento 5 stelle: la prima si sta arrovellando su un proprio ruolo liberal-popolare; il secondo, cerca di muoversi lungo un versante ambientalista, anch’esso totalmente mancante sulla scena politica di questo stravagante Paese. Tuttavia, un quadro politico di siffatto genere e tipo dimostra solamente come la politica non possa muoversi unicamente in base a un propagandismo liquido e populista, utile solamente ad acchiappare voti senza essere in grado di aggredire un problema anche minimo.
La nascita del Governo Draghi ha reso pienamente l’idea di una classe politica ormai totalmente scivolata nel vuotismo propagandista dei social network e degli slogan utilizzati come gusci vuoti, quando invece servirebbero professionalità, valori saldi, un minimo di coerenza e di rigore etico. Tutte caratteristiche quasi bandite o fuori moda, che giustificano pienamente una candidatura come quella di Bobo Craxi. Il quale, in veste di sottosegretario agli Esteri, fu tra i principali protagonisti di una vittoria, quella dell’Expo di Milano per il 2015, sbandierata ex post come un trionfo di tutti. Perché una vittoria ha sempre tanti padri, mentre la sconfitta ha un’unica madre.
Bobo Craxi ha dei meriti innegabili nella vita politica italiana più recente: è uno dei pochi esponenti politici che ha saputo portare a casa un risultato concreto, in una fase in cui risultano vincenti una serie di leader che, quando sono al potere, nemmeno si presentano al ministero oppure, come nel caso di Giorgia Meloni, avrebbero ancora tutto da dimostrare. Stiamo andando dietro a delle emerite incognite, senza renderci conto di impantanarci ancora di più nel fango, ignorando ogni aspetto di competenza professionale, anche a livello municipale.
Risulta pur vero che, in tutto questo macello, c’è anche Forza Italia. La quale, paradossalmente, continua a zavorrare la situazione rimanendo abbarbicata a una leadership, quella di Silvio Berlusconi, ormai logora e stanca, per semplici motivi anagrafici. Da una parte, tutti cambiano tanto per cambiare: “Proviamo con Giorgia”; “Salvini è una macchina da guerra”; “Conte è una gran brava persona” e via dicendo. Dall’altra, in Forza Italia non cambia nulla e comanda sempre lo stesso. E nessuno che scriva due righe di analisi in merito a contraddizioni del genere, a dir poco singolari.
Infine, c’è Roma: una capitale in condizioni miserevoli, per non dire desolanti. Carlo Calenda sembrerebbe il meno peggio, sotto il profilo della competenza; Roberto Gualtieri, un turno da ministro lo ha fatto; Virginia Raggi era e rimane, ormai, improponibile; Enrico Michetti proviene da un ambiente radiofonico tutto fuffa e niente arrosto. In questo casino, Bobo Craxi capolista del Psi a Roma svetta nettamente. Ma in pochi sono in grado di comprendere una verità politicamente così semplice, persino banale. Ovvero, che si tratta di un ragazzo che si ostina a farsi portatore di una tradizione storica fondamentale, rappresentata in tutti i Paesi del mondo; che non s’intesta meriti altrui (Matteo Renzi); che non diffonde fake news sui social e nel web (Matteo Salvini); che non ricicla ricette obsolete spacciandole come nuove (Giorgia Meloni).
Insomma, scegliere Bobo Craxi significherebbe esprimere un voto contro quella superficialità generalista, che ci ha condotti nel baratro in cui tutti quanti siamo finiti.
(25 settembre 2021)
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