di Isabella Grassi, #Tokyo2020
Siamo nel 2021, ma si giocano le Olimpiadi del 2020, era il 2019 invece quando ho fatto parte del programma della Bridgestone “Insegui il tuo sogno, non fermarti mai” che ha portato 10 everydaybattlers a correre la loro 10 km a Verona dopo quattro mesi di allenamento.
Così ho conosciuto Luciano Sabbatini che era il “nostro” mental coach, Massimo Magnani che era il “nostro allenatore” e Valeria Straneo che era la “nostra” capitana.
Il 2020 è stato un anno difficile per tutti gli sportivi, in particolare per l’atletica e i runner, tacciati per mesi di essere untori, con sospensione per i più delle tabelle di allenamento e serie difficoltà anche per gli agonisti. Tamberi e Jacobs hanno regalato all’Italia due ori importanti nello stesso giorno, facendo uscire quindi l’atletica dall’oscurantismo quasi medioevale e farla approdare al rinascimento, che poi è esploso con l’oro della staffetta 4×100 quando Tortu. ha superato nel rush finale il corridore inglese, facendoci stare tutti in apnea e ha incoronato la nostra nazione come la più veloce del mondo.
Tra una impresa e l’altra ho raggiunto con una telefonata in videoconferenza Luciano Sabbatini, mental coach di Gianmarco Tamberi, Massimo Magnani ex CT della FIDAL e Valeria Straneo maratoneta, per raccogliere le loro impressioni, alla chiacchierata si è unita anche Gilda, una everydaybattlers.

L’intervista è iniziata così, con una chiacchierata generale, quasi anarchica e via whatsapp.
Dopo qualche minuto di emozioni personali, la prima domanda è partita da Valeria che ha chiesto a Luciano come aveva vissuto la finale di Tamberi e la risposta del mental coach è stata: “A ogni salto saltavano tutti, con la paura iniziale che i salti più bassi fossero i più facili da sbagliare, poi ci si è resi conto che la gara aveva preso la piega giusta, concentrazione la parola da usare”.
Massimo è intervenuto sulla tensione del salto a 2,19 dove appunto si è visto il cambio di Tamberi e la sua progressione che lo ha portato dritto all’oro.
Così le prime parole di Luciano, Massimo e Valeria su ciò che è successo per l’oro condiviso e dopo i convenevoli anche Gilda.
A Luciano Sabbatini, ho chiesto di illustrarci quale sia il ruolo del mental coach e l’emozione più frequente. Può sorprendere la risposta ricevuta che sottolinea come il distacco con l’atleta sia necessario per avere una visione più oggettiva possibile. In particolare Luciano tiene a sottolineare come le domande che vengono fatte vengono da quello che dice l’atleta sia come espressione verbale che fisica. Lo strumento principale è fare domande che inducano reazioni di cambiamento. Il mental coach non conosce la tecnica sportiva in sé ma si deve concentrare sull’atleta. Ciò in cui crede o che sente per riuscire a innescare il cambiamento. La distanza con l’atleta la perde e si annulla nella gara: l’atleta non lo vede ma il mental coach è lì che fatica come l’atleta.
Valeria è intervenuta con un monito verso Luciano: “Insomma, predichi bene e razzoli male…” , risate generali.
Riprendendo la dinamica dell’intervista ho chiesto se avesse provato un senso di vuoto e Luciano ha spiegato come “l’atleta quando arriva al risultato esplode, il mental coach invece si svuota di colpo”, così gli è successo l’anno della promozione in serie A con la pallavolo, ricordando come “pur essendo stata la squadra sempre prima durante tutto il campionato io comunque buttavo continuamente acqua sul fuoco. Nel momento della partita decisiva ero tutto bagnato, come se avessi assorbito io tutta l’acqua che avevo gettato sul fuoco e tutta la notte l’adrenalina che avevo in corpo mi ha impedito di dormire, e per smaltirla sono stato tutta la notte con gli occhi aperti a guardare il soffitto”.
Entrando poi nello specifico del suo rapporto con Tamberi, Sabbatini ha spiegato come lui abbia iniziato nel 2014 con l’atleta, grazie anche a Massimo Magnani che come Direttore Tecnico della FIDAL aveva messo a disposizione i fondi per pagare il mental coach, figura al tempo ancora poco conosciuta, ma sulla cui importanza Massimo già credeva, così come sulla necessità di un team che affianchi l’atleta per una visione più a 360 gradi.
Prosegue poi Luciano spiegando come il 2016 sia stato molto impegnativo, avendo dovuto affiancare Gianmarco in un momento di grande sconforto. L’infortunio è stato il momento peggiore per lui. Ci ricorda infatti come nonostante con 2,39 m. Tamberi fosse già qualificato per le Olimpiadi del 2016, Gianmarco aveva lavorato per presentarsi con un suo biglietto da visita che mostrasse di avere raggiunto i 2,40 m, per cui saltare i 2,41 m. sarebbe stata la logica conseguenza di tutto il percorso.
Quasi un ruolo scaramantico quello dei 2,39 m, allora superati e che oggi invece pur non avendoli saltati gli hanno valso l’oro.
Luciano spiega che la condivisione dell’oro, così come avvenuta a Tokyo è perfettamente in linea con lo spirito di Gianmarco, essendo un atleta che ha la capacità di intessere relazioni con tutti e soprattutto relazioni profonde. Le relazioni in senso di condivisioni sono una sua caratteristica. Forse andrebbe rivisto il regolamento sul lasciare la decisione interamente agli atleti, ma così com’è Gianmarco ha preso la decisione che il suo cuore chiedeva.
Salta la connessione con Sabbatini e nell’attesa di risentirlo Massimo Magnani ribadisce la sua visione di affiancamento dell’atleta.

Parlando di Tamberi e del 2014 Massimo fu contattato dal padre di Gianmarco che aveva delle teorie che non sempre coincidevano con quelle degli altri tecnici perché valutavano diverse forme di supporto per gli atleti. In quest’ottica, spiega Magnani ha trascorso un capodanno con Gianmarco e il padre a Doha per conoscere l’allenatore di Barshim e Barshim stesso, dove sono cominciati i primi contatti con i due atleti e con l’allenatore di Barshim e il padre di Gianmarco. Fu un capodanno strano, in un paese dove non si festeggia il capodanno, dove solo in certi alberghi per turisti si può bere il vino.
Fu però importante per il futuro di Gianmarco.
Con Massimo Magnani si è poi parlato anche di Jacobs, da lui conosciuto sempre nel 2014 quando, sempre nella sua funzione di direttore tecnico, insieme a Sergio Baldo dirigente delle fiamme oro, è stato artefice del contatto di Jacobs con Paolo Camossi, attuale allenatore dell’atleta. Marcell allora era già un grande talento, ma con metodologie di allenamento non adatte a lui. Ricorda Massimo che si allenava con le bacchette da nordic walking, e che tale tecnica lo aveva portato a subire un accorciamento della muscolatura del retro coscia e a farsi spesso male.
Al tempo Jacobs era un saltatore in lungo e Camossi era uno specialista dei salti, fu quest’ultimo a indirizzarlo verso la corsa di velocità valutandone al meglio le potenzialità.
Il 2014 fu per Magnani e per il futuro dell’atletica un anno magico, che vide anche Valeria Straneo argento a Zurigo nella maratona, così come Meucci vincere gli europei, un anno che ha permesso di costruire le basi della atletica attuale.
“Bisogna attuare un’ approccio moderno”, continua Massimo. Se mediamente gli atleti fanno bene, è tuttavia evidente come salvo Jacobs e Tamberi il gap con il resto del mondo è molto ampio perché la federazione non ha la forza necessaria e la visione comune dell’allenamento. Massimo insiste sulla necessità di far capire quale deve essere, vero è che manca un centro studi e ricerche che indaghi sia l’aspetto biomeccanico che mentale. Serve qualcuno che faccia capire di ciascun atleta quali siano gli aspetti da sviluppare e da migliorare. Il mental coach ancora oggi è confuso con lo strizzacervelli, il fisioterapista è pensato ancora come il massaggiatore. Tutte queste competenze erano viste come figure dalle quali guardarsi, così come l’osteopata che invece è molto importante.
Manca una visione generale dell’atletica. Serve un modello di gestione tecnica condiviso, completamente diverso da quello che c’è oggi.
Perché questi ori quindi? Spiega Magnani come sia in realtà l’atleta il centro del team, costretto da una federazione che non lavora in team, a costruirsene uno perché la federazione o il CONI non hanno un team (eg nutrizionista) perché non esiste nella cultura. I team costruiti dagli atleti sono privati, dove la federazione fa la parte del bancomat, con i limiti del bancomat stesso e l’atleta si deve arrangiare; in pratica invece di mettere a disposizione le competenze, si limita a pagare, lasciando il problema all’atleta.
Il figlio Marcello è il manager di Jacobs dal 2019. Ha la caratteristica di essere molto vicino agli atleti, che tratta come persone e non come numeri. Conosce le lingue e in ogni parte del mondo riesce a interfacciarsi con chiunque in qualunque luogo. Interviene così Valeria Straneo, che ricorda come Marcello con il suo modo di fare amicizia rende divertente qualunque trasferta con lui. Spiega ancora Massimo come sia stato suo figlio a impostare il lavoro con Camossi e i contatti necessari per sviluppare i risultati degli atleti. In pratica è il problem solver anche di problemi personali.
Accortosi che Marcell subiva psicologicamente il confronto con Tortu, per cercare un riequilibrio psicologico ha trovato per lui il mental coach, che ha risolto tutta una serie di problemi personali derivanti dall’abbandono del padre fino alle paure nel contesto competitivo. Il mental coach ha quindi fatto un grande lavoro da un punto di vista mentale abbattendo le paure di Jacobs.
Luciano ritorna in linea e spiega che nel 2017, quando ancora non c’era la condizione fisica ottimale a causa del brusco arresto determinato dall’infortunio, poiché Gianmarco è uno che non si risparmia e canalizzava spesso troppo, ha usato per lui la metafora dell’imbuto, spiegandogliela così: “non sai quanto l’imbuto sia grande per cui devi imparare a dosare l’energia” e gli ha regalato un imbuto per fargli capire quale fosse il corretto equilibrio tra volontà e quanto serva per far passare l’energia senza sprechi.
Nelle discipline esplosive, interviene ancora Massimo l’equilibrio è fondamentale come nelle discipline di resistenza come la maratona. Questo vale sia in gara che in allenamento, e lo spreco è alle porte anche in allenamento per cui un eccesivo consumo incide anche poi nelle gare, e Valeria questa qualità ce l’aveva dentro.
Valeria sorridendo interviene dicendo che più che l’imbuto aveva il contagocce.
Luciano ringrazia Massimo e Valeria e ricorda come il suo libro “L’atleta interiore” di Franco Angeli Editori esca ai primi di ottobre.
Alcuni messaggi: quando si arriva al limite si dice che non c’è più la testa, ma il funzionamento della testa è fondamentale. Nel medio livello è l’allenatore che gestisce tutto e deve averne gli strumenti. I limiti dell’allenatore passano all’atleta e questo è un problema. Questo è l’elemento di crescita, cioè creare un team in cui ciascuno ha delle capacità specifiche.

Durante la video chiamata Valeria è intervenuta e ha interagito con la sua personalità cristallina e sorridente, ora tocca a lei, come maratoneta a parlarci di queste olimpiadi.
Alla mia domanda iniziale su come le ha vissute davanti alla televisione, ha spiegato di conoscere Tamberi e Jacobs, malgrado le discipline diverse e di aver provato una gioia incredibile soprattutto per Gimbo. E’ come se quella medaglia fosse stata lì ad aspettarlo. Valeria mette sulla stessa linea lo sport e la nascita di un figlio, come due situazioni topiche. Avrebbe chiaramente preferito partecipare personalmente ed essere presente a Tokyo. Si ricorda infatti che non è riuscita a qualificarsi per poco più di un minuto, avendo corso in aprile la maratona di Ampugnano in 2 ore 30’ e 33”, quando occorreva un tempo non superiore a 2 ore 29’ e 30”.
Non mostra però una eccessiva delusione, ritenendo comunque premiante il percorso fatto negli anni per cui non dimostra alcun rimpianto. “Se mi fossi fermata a Valencia… afferma… non mi sarei ripresa, ma il fatto di averci provato è stato soddisfacente per me stessa per aver condotto una maratona al meglio. Per me è stato un obiettivo raggiunto per quanto mi riguarda.”
Nel dicembre 2020, in pieno lock down, Valeria aveva corso in 2 ore 37’ e 04” arrivando trentasettesima, e nel gruppo whatsapp di noi everydaybattlers Massimo Magnani ci faceva la cronaca, aggiornandoci in tempo reale delle informazioni che il figlio Marcello che era a Valencia con Valeria forniva. Il tempo di 1.21.15 al km 25 faceva ben sperare, ma poi per vento contrario Valeria subiva un rallentamento fino al km 30, e non ci faceva piacere apprendere che la velocità era scesa a 4 minuti/km. Rileggendo la chat la frase di Giorgia mi fa ancora riflettere: “Forza e crudeltà dello sport. Lacrime e sacrifici per coltivare un momento perfetto. Che in questo momento è fugace e cedevole e influenzabile da mille fattori.”
Valeria sorride, come solo la capitana degli everydaybattlers sa fare e che a fine giornata a Valencia, dopo aver letto la chat trova la forza di scrivere: “Grazie a tutti per il supporto! Oggi è andata così, sto benissimo, non ho avuto nessun problema, non avevo “solo” le gambe!! Un bacione a tutti voi”.
E sorride ancora Valeria nell’intervista dove riesce a dire che comunque è bello vedersi le olimpiadi dal divano, e di aver provato un certo magone quando ha visto i compagni di allenamento partire. Anche per Valeria infatti l’’amicizia e le relazioni sono importanti anche con gli antagonisti per il rispetto reciproco. Emma Quaglia è una delle sue migliori amiche. Lo sport, afferma la Straneo, ti da esperienze così totalizzanti che non è possibile soprassedere all’importanza delle relazioni. Alla mia domanda si cosa le rimarrà di questa olimpiade da divano di diverso da noi comuni mortali ha risposto che lei era comunque partecipe delle vittorie di Tamberi e Jacobs per il fatto che gli atleti hanno avuto allenatori e membri dello staff in comune e perciò capisce meglio cosa c’è dietro ogni vittoria.
Pensando al futuro afferma di essere in standby. “Ho avuto bisogno di staccare. Corro ma non mi alleno e vado a sensazione. Sto riassaporando il piacere di correre in scioltezza a mente aperta. Sto pensando di fare il corso di tecnico di primo livello per provare a vedere cosa si prova a stare dall’altra parte.”
Un coro unanime si alza alla mia domanda su cosa pensassero dei commenti post oro, per sospetto doping e per le scarpe, e così posso riassumerle: “Tutti i commenti tipo le scarpe eccetera fanno rabbia e fanno prudere le mani. Le scarpe le hanno tutti e tutti sono sullo stesso piano. Sei si può capire il problema del doping, non si comprende l’accanimento.”
Interviene in ultimo Magnani affermando come “mette tristezza tutta questa polemica perché come sempre nasce tutto da illazioni di gente incapace di perdere ed è distruttivo. Queste illazioni cercano nel torbido anche quando il torbido non c’è. Sulle scarpe di Jacobs afferma come si sia scelta la strategia della non risposta in accordo con l’avvocato che lo segue, in attesa di vedere come si evolve la questione.”
In ultimo arriva una comunicazione che a noi everydaybattlers fa ben sperare, sembra che il percorso di Bridgestone continuerà, che si voglia spingere il brand nel settore sportivo. Si vuole comunicare positivamente col consumatore finale e far si che si faccia un’opinione sul brand per spingerlo a diventa ancora più forte. Un monito ad accettare che quando perdi devi capire cosa l’avversario ha fatto meglio di te.
Se Jacobs ha usato delle buone scarpe le devo comperare anch’io.
Non mi resta che ringraziare i miei ospiti e i mie compagni di ventura: Luciano, Massimo, Valeria, Alessandro,Daniela, Fausto, Gilda, Giorgia, Giuly, Giusy, Lorenzo e Maria, nella speranza che l’atletica ci faccia presto riunire.
Nella foto Luciano indossa la medaglia d’oro di Tamberi che rientrato in Italia gli sorride a fianco.
(9 agosto 2021)
©gaiaitalia.com 2021 – diritti riservati, riproduzione vietata
Iscrivetevi alla nostra newsletter (saremo molto rispettosi, non più di due invii al mese)