di Fabio Certosino, #LGBTQIA+
Una lunga storia (d’amore?) durata cent’anni pare finire in una scena malinconica da “c’eravamo tanto amati”, o anche solo sopportati, aggiungeremmo. Così ci viene di descrivere quello che succede in questi ultimi giorni dopo la consegna della ormai celeberrima “nota del Vaticano” all’ambasciata italiana. Epperò la realtà, come capita talvolta, risulta più interessante del cinema, visto come il tira e molla del film prima ricordato si è tinto dei colori del giallo proprio a causa delle caratteristiche della nota vaticana. Questo documento infatti è per sua natura non firmato né siglato e quindi sono subito cominciati gli arzigogoli sull’imprimatur concesso o meno da Bergoglio, e inoltre sulla qualità dell’ingerenza del Vaticano negli affari dello stato italiano che con il Concordato del 1929, modificato nel 1984, ha ribadito le libertà della chiesa cattolica nei suoi confini.
La faccenda va collocata in uno sviluppo di vicende che parte dal 2013 quando Bergoglio riuscì magistralmente a tenere il piede in due scarpe. Qualcuno ricorderà forse la “lobby gay”, espressione usata dal pontefice per riferirsi a un gruppo segreto di omosessuali alti prelati, interni alla chiesa, che alimentavano la corruzione nelle gerarchie. Poi, forse accortosi di aver sovrapposto omosessualità e pedofilia, tipo lapsus freudiano, se ne è uscito con quell’altra espressione famosa, il “chi sono io per giudicare”. Da questo momento Francesco ha suscitato la sensazione di essere un aperturista, per usare un’espressione familiare. Indovinate un po’ chi accolse quelle parole con interesse ma con scetticismo. Eh, inimmaginabile. Proprio lui: Alessandro Zan (SEL). A quel punto insomma il dado era tratto, nonostante la farcitura dell’omosessualità con il concetto di peccato, un colpo al cerchio e uno alla botte.
Bene, arriviamo al 2020 A.D. Le unioni civili diventano un tema ricorrente e la chiesa non può non dire la sua. In testa, Bergoglio le dichiara un obbligo morale per gli stati. La china è precipitosa. Nel marzo 2021, in evidente affanno, si ribadisce che impensabile è il matrimonio gay ma neppure si può considerare la possibilità della benedizione delle peccaminose unioni omosessuali. La risposta al niet della Congregazione per la dottrina cattolica arriva immediatamente, a maggio, da Belgio, Austria e Germania, dove oltre cento parrocchie hanno deciso di dare la benedizione alle coppie omosessuali.
A questo punto arriva il fattaccio. Le argomentazioni usate sono straordinariamente uguali a quelle della destra (qualcuno diceva che a pensar male si fa peccato), e cioè che il ddl Zan attenterebbe alla libertà di pensiero, non esiste un vuoto normativo e che le scuole cattoliche sarebbero obbligate alla celebrazione annuale delle persone difese dal decreto (ma questo non è esplicitamente affermato nella nota ma solo ipotizzato). Tutto questo si smentisce semplicemente leggendo il testo del decreto che va subito approvato per non lasciare alle persone lgbtq la magra consolazione del discorso della montagna che assegnerebbe loro il regno dei cieli, ma, aggiungiamo noi, in vita il disprezzo del peccato.
(3 luglio 2021)
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