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Battiato Francesco detto Franco #Giustappunto di Vittorio Lussana

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di Vittorio Lussana, #Giustappunto

La scomparsa di Franco Battiato ci pone di fronte a un dilemma quasi esistenziale: può l’Italia provare a essere un ponte di collegamento tra cultura ‘mitteleuropea’ e mondo orientale? Purtroppo, esistono molte resistenze intorno a tali contaminazioni. Così come Pino Daniele era riuscito a combinare sonorità spagnoleggianti, dando vita a un sound che sapesse collegare la cultura partenopea al mondo contemporaneo, attualizzandola attraverso una sorta di blues mediterraneo, allo stesso modo Francesco Battiato, detto Franco, è stato il protagonista di un tentativo coraggioso, che ha cercato di proporre la Sicilia al centro della scena culturale del Paese.

Una ‘sicilitudine’ colta era ormai pronta a svolgere un ruolo ben preciso: il segnale non solo era interessante, ma avrebbe meritato maggior attenzione. Invece, il successo arrivò solo nei primi anni ’80, dopo più di un decennio di sperimentazioni a cui l’Italietta, un po’ cattolica e un po’ mafiosa di quegli anni, si era dimostrata completamente sorda. Quando il successo di un artista arriva tardi, bisognerebbe cominciare a porsi delle domande, anche sulla nostra frontiera musicale. Invece, niente da fare: noi siamo un Paese che resta ‘zavorrato’ da una pesantezza ignorante, da un conformismo e da tutta una serie di luoghi comuni che proprio non riusciamo a superare.

Basterebbe osservare quanto accaduto, da un anno a questa parte, durante il lungo e doloroso tunnel della pandemia, in cui il dilemma non è stato quello tra una cultura scientifica che si è confrontata con un popolarismo di origine religiosa, bensì ci siamo ritrovati incastrati tra l’incudine e il martello di un irrazionalismo egoistico, che tende a chiudersi in se stesso, contro un tradizionalismo scientista, anch’esso tendente a rinchiudersi in una sorta di torre d’avorio. Due pianeti, che proprio non sono riusciti a comunicare tra loro.

Quest’ultimo punto risulta conclamato persino nei casi in cui qualcuno ti viene a confessare che molte cose del mondo scientifico nessuno le ha mai sapute insegnare, né raccontare a titolo puramente divulgativo. Ecco perché, certe volte, nel presentare un libro qualsiasi ci si sorprende di ricevere i ringraziamenti più sinceri da parte di persone che non appartengono affatto all’Italia colta, ma a quella più semplice e umile.

Molta parte del mio successo personale come relatore di libri scritti da altri, che fino a poco prima della pandemia era riuscito quasi a raddoppiare le mie entrate personali, controbilanciando una controcultura statalista distante anni luce da ogni forma di economia applicata al mondo delle professioni, si basava esattamente su questo ‘vuoto’. Molti italiani vorrebbero sentirsi raccontare i nostri fatti storici dal sottoscritto. Oppure da Alessandro Barbero, che mantiene una simpatia e un gusto nel rimembrare il passato, da riuscire a cogliere perfettamente l’attenzione di tutti.

Si badi bene: un artista come Franco Battiato riuscì a ottenere un grande successo utilizzando dei testi, nelle sue canzoni, esteticamente ‘alti’, quasi aulici. Non si tratta di una caratteristica di poco conto, in un Paese in cui nei corsi di giornalismo ti viene insegnato, con ostinazione, a non andare oltre il periodo più elementare: soggetto/verbo/complemento oggetto. E questa coordinata ti viene spiegata in un modo che nessun ambiente confesserebbe mai in pubblico, mentre invece, nel ‘chiuso’ dei corsi di formazione e persino in molte borse di studio, viene esplicitato a chiare note: “Con gli italiani è meglio scrivere semplice, perché altrimenti non capiscono…”. Un popolo di cretini, praticamente.

Insomma, che Franco Battiato sia riuscito a ottenere un successo clamoroso in un terreno così ‘minato’ dovrebbe dirci qualcosa. Invece, c’è ancora chi lo giudica un semplice amante di un gusto puramente estetico delle parole: un creatore di ‘gusci vuoti’, metricamente funzionali alle sue stesse canzoni.

In una delle sue prime apparizioni televisive, gli capitò di essere intervistato da Pippo Baudo a ‘Domenica in’. Era un Baudo diverso, rispetto a quello assai più saggio e consapevole di oggi, poiché in piena corsa per la propria carriera. E il loro incontro, che poi era quello tra due catanesi, testimoniò in maniera angosciante la netta divaricazione tra la ‘testa’ e la ‘pancia’ del nostro Paese. Una distanza incolmabile, che oggi si è addirittura ‘polarizzata’, poiché incapace di trovare una qualche via di mezzo, percorribile per tutti.

 

(21 maggio 2021)

©gaiaitalia.com 2021 – diritti riservati, riproduzione vietata

 

 




 

 

 

 

 

 

 

 




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