di Marco Biondi #Iolapensocosì twitter@gaiaitaliacom #Politica
Repubblica sta pubblicando delle interviste di vari leaders dei partiti dell’area democratica per raccogliere opinioni su come poter rilanciare le politiche riformiste in vista dei futuri appuntamenti elettorali. Un’intervista che mi ha colpito è quella a Matteo Renzi, perché, come spesso accade, in modo non banale, cerca di andare oltre gli slogan e ci propone riflessioni interessanti.
La sua riflessione più interessante riguarda il fatto che, ad esempio, in UK, Corbyn (sinistra radicale) ha perso mentre Blair (moderato riformista) aveva vinto per ben tre elezioni consecutive. In USA, Biden (moderato) ha vinto, mentre Sanders avrebbe certamente perso. In Francia, la sinistra è stata praticamente spazzata via e Macron, a capo di una nuova iniziativa moderata, ha vinto.
Da qui la sua classica chiusura per la quale si vince puntando al centro.
In tutto ciò, però, Renzi dimentica un altro aspetto fondamentale di un’analisi politica. Ovvero, quali sono stati i risultati ottenuti da parte di chi ha vinto e con quei voti è riuscito a governare?
Per dare una risposta varrebbe la pena di ricordare i risultati che ottenne Blair alla guida del Regno Unito – eccellenti – e confrontarli con quelli che sta ottenendo Boris Johnson, con un occhio alle conseguenze che arriveranno dalla Brexit, soprattutto ora che ha perso il suo principale alleato, Trump lo sconfitto, e che si ritroverà a pagare le conseguenze di non essere più né parte della Comunità Europea, né partner privilegiato degli Usa.
Che risultati ha raggiunto Renzi in Italia durante i suoi 3 anni di governo, in termini di crescita economica e di riforme e di diritti civili, e quali risultati sono arrivati con i governi di centro destra di Berlusconi che l’hanno preceduto, e che hanno portato il Paese alla catastrofe economica con lo spread a 550, il PIL e l’occupazione in caduta libera?
La stessa America di Trump, dopo i suoi 4 anni, non è un Paese migliore. Se anche ha portato all’inizio un miglioramento della situazione economica e occupazionale, ha, dall’altro lato, spaccato il Paese in due generando odio reciproco e l’ha isolato a livello internazionale. Per non parlare poi del non essere stato in grado di gestire e controllare l’emergenza della pandemia.
Quando quindi si parlerà di scegliere chi votare, logica vorrebbe che si tenesse conto di quali risultati ci si potrebbero attendere a seconda di chi si vota. Come se stessimo facendo la prova della vista dall’oculista: “meglio o peggio” con questa coalizione rispetto all’altra?
L’esperienza recente ci racconta di una destra capace di difendere i grandi interessi a scapito degli interessi della maggioranza delle persone, di una sinistra estrema, capace solo di stare, lamentandosi, all’opposizione o di proporre modelli economici obsoleti, e di un centro sinistra moderato, capace di indirizzare la politica economica verso una crescita sostenibile diffusa su buona parte della popolazione, e che, spinta dalle proprie alleanze interne con la sinistra più radicale, si è dimostrata pronta ad introdurre riforme e diritti civili, generalmente ostacolati dalle destra più tradizionale.
Questa è la parte razionale di un ragionamento. La pratica però si scontra con altre logiche: la pletora di personaggi che sostengono idee, alle quali magari non credono, ma che garantiscono, a loro, vantaggi e maggiori probabilità di essere eletti. E qui arriviamo anche a parlare di populismo.
Il populista insiste sulle paure, sulle insoddisfazioni – magari generate da difficoltà oggettive, quali, ad esempio, saranno quelle causate dalla pandemia – per ottenere voti di protesta, senza la minima possibilità di ottenere, nei fatti quanto promette. Ma con un’ottima prospettiva di ottenere seggi in Parlamento.
Un esempio eclatante può essere l’esperienza dell’anno di Governo “giallo/verde”, nel quale si sono realizzate promesse incompatibili con le possibilità date dalla situazione economica del Paese e non si è raggiunto alcun risultato concreto sul rimpatrio promesso degli immigrati o sul miglioramento della sicurezza dei cittadini.
Inutile ricordare il costo pazzesco sostenuto per il reddito di cittadinanza (sarebbe bastato molto meno rifinanziando il reddito di inclusione, che sarebbe andato solo a persone effettivamente bisognose), o lo spreco di quota 100. Entrambe le misure hanno penalizzato scuola e sanità, ma sono andati a beneficio di tanti che non ne avrebbero assolutamente avuto bisogno o necessità.
La conclusione di tutto questo discorso è, come spesso accade, abbastanza demoralizzante: ovvero bisognerebbe far capire agli elettori, magari solo citando esperienze effettivamente vissute nel recente passato, come rendere effettivamente “utile” il loro voto. Cosa può produrre per loro risultati che possano migliorare il loro livello di vita e che voto, al contrario, sarebbe non solo sprecato, ma addirittura dannoso per loro stessi e per la maggioranza dei cittadini?
Inutili sarebbero voti destinati a rendere più forti i populisti, l’estrema destra, la sinistra radicale. Una presenza parlamentare preponderante di questi gruppi renderebbe vani i tentativi di far migliorare l’economia e con essa il livello di vita dei cittadini.
Al contrario, rafforzare e dare effettivo potere alle forze moderate riformiste creerebbe le condizioni per poter fare effettivamente bene.
Perché possa passare questo concetto, sarebbe però necessario che gli elettori avessero effettiva conoscenza dei reali risultati raggiunti, nel recente passato, da chi ha avuto la possibilità di governare. Se la comunicazione resterà strumentalmente in mano a populisti ed estremisti, l’obiettivo diventerà irraggiungibile. Noi, nel nostro piccolo, possiamo solo cercare di fare la miglior comunicazione possibile. Io ci sto provando.
(26 novembre 2020)
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