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Illustre Presidente,
l’Osservatorio Permanente sulla Legalità Costituzionale, istituito presso il Comitato Popolare Difesa Beni Pubblici e Comuni Stefano Rodotà, si trova nuovamente costretto ad intervenire in merito al dichiarato stato di emergenza.
Stando a notizie di stampa il Presidente del Consiglio sarebbe in procinto di prorogare lo stato di emergenza, inizialmente dichiarato il 31/01/2020 ed in scadenza alla fine di luglio, fino al 31 dicembre 2020, e ciò sulla base di una non meglio precisata “esigenza di tenere sotto controllo il virus, per la presenza di alcuni contagi in territorio italiano.”
Laddove ciò si verificasse ci troveremmo di fronte a uno strappo gravissimo dell’ ordine costituzionale, a causa del quale la democrazia di un Paese viene di fatto congelata per un anno intero, ad arbitrio del Potere Esecutivo oggi ancor più in assenza di qualunque presupposto giustificativo.
Dalla lettera del Codice della Protezione Civile, infatti, lo stato di emergenza si riferisce “a eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo che in ragione della loro intensità o estensione debbono, con immediatezza d’intervento, essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo.” (art. 24, 7 comma 1 lett. c) Codice Protezione Civile).
Il testo della norma, e del Decreto nel suo complesso, è evidentemente destinato a disciplinare quelle situazioni nelle quali vi sia necessità di azione tempestiva ed immediata.
A conforto di tale interpretazione lo stesso art. 24 comma 1 del Codice di Protezione Civile, rubricato Deliberazione dello stato di emergenza di rilievo nazionale, prevede che, con la delibera di stato di emergenza, vengano immediatamente destinate “risorse finanziarie al soccorso della popolazione”, a conferma quindi che si tratti di situazioni nelle quali il ricorso agli ordinari strumenti democratici, financo a quelli per definizione destinati a fronteggiare situazioni di estrema gravità ed urgenza (come il decreto legge) costituiscono in quel frangente un lusso, uno spreco di tempo che l’Ordinamento non può permettersi perché ogni minuto è sacro.
D’altronde il termine stesso “calamità di origine naturale” difficilmente si attaglia a un problema sanitario ed emerge, con tutta evidenza, come già l’originario ricorso, a gennaio 2020, allo strumento dello stato di emergenza (peraltro seguito da un mese di completa inerzia da parte dell’esecutivo) fosse molto discutibile.
A maggior ragione appare oggi del tutto sproporzionato ed illegittimo il ricorso a questi strumenti di eccezione.
La sola presenza di sparuti focolai, peraltro circoscritti in alcune zone del Paese e ad oggi perfettamente gestibili dal Servizio Sanitario, non costituisce requisito sufficiente a introdurre un regime di eccezione che consenta di derogare alla dialettica democratica di uno Stato di Diritto.
Nè lo stato di eccezione è giustificato dal mero timore di possibili scenari futuri, sui quali ancora nulla è dato prevedere e sui quali, peraltro, la stessa Comunità Scientifica mostra di avere opinioni divergenti. Ciò equivarrebbe a giustificare il puro arbitrio di un Potere Esecutivo che potrebbe sospendere la democrazia in qualunque momento, perché in fondo, “del doman non v’è mai certezza.”
Neppure si può giustificare lo stato di emergenza con la presenza di focolai in Paesi stranieri, essendo sufficienti le ordinarie misure di contenimento dei flussi in entrata e uscita del Paese per arginare qualunque pericolo in tal senso.
Così riceviamo e pubblichiamo integralmente dall’Osservatorio Permanente sulla Legalità Costituzionale, istituito presso il Comitato Popolare Difesa Beni Pubblici e Comuni Stefano Rodotà.
(11 luglio 2020)
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