di Vittorio Lussana #Giustappunto twitter@gaiaitaliacom #TrumpStalin
E così è arrivata la ‘mannaia’ di Donald Trump contro i social netwotk. La questione, come al solito, è quella di riuscire a ‘millantare’ come libertà di opinione delle emerite menzogne. Ma la libertà di espressione, in realtà, non c’entra nulla con quello che rimane un abuso: credere di poter dire tutto quel che si vuole, pensando di non doverne mai render conto a nessuno. La questione è presto detta: Twitter, nei giorni scorsi, ha ‘corretto’ due post del presidente americano. I quali avevano una doppia connotazione: oltre a essere falsi, risultavano anche inesatti. Nel primo caso, infatti, si rientra nella fattispecie di reato definita, tecnicamente: diffamazione semplice. Essa si distingue dalla diffamazione a mezzo stampa, poiché i social network non sono considerati un organo di informazione, bensì rientrano nella sfera dell’intrattenimento e della comunicazione sociale. Ecco il perché dell’aggettivo ‘social’: si tratta di spazi nati per mettere in relazione le persone, addirittura quelle che non si frequentavano più da decenni e che si erano perse di vista. Una sorta di riavvicinamento virtuale, che sociologicamente ha la sua importanza. L’inesattezza, invece, rientra nelle fattispecie relative all’errore. Esse sono considerabili meno gravi e, in caso di querela, prevedono delle ammende richieste, in sede civile, presso un giudice ‘terzo’ da chi si ritiene danneggiato nella propria onorabilità e reputazione. Tutto questo, sul web può essere evitato ricorrendo a rettifiche e scuse, dato che la gente litiga continuamente e non si può finire in tribunale per ogni ‘cavolata’: i magistrati hanno crimini ben più importanti da perseguire. Pertanto, le grandi piattaforme possono godere di un’immunità legale, a patto che esse intervengano presso i singoli utenti filtrando post e commenti. In ciò, è vero che ognuno applica la propria filosofia: Mark Zuckerberg, Ceo di Facebook, ha sempre giudicato negativamente quest’attività di controllo che gli è stata imposta, poiché impegna la sua intera struttura in verifiche continue su tutto quello che la gente scrive in giro. Ma si sa: Zuckerberg è anche colui che oscura le copertine dei romanzi ‘gotici’ accusandoli di ‘cripto-nazismo’. Insomma, oltre a non piacergli affatto, questo ruolo di ‘arbitro’ il caro Mark Zuckerberg neanche lo sa fare e, ogni tanto, prende delle ‘cantonate’ clamorose. Lui è convinto di essere un gran ‘figo’, mentre invece lo ‘canzoniamo’ goliardicamente tutti quanti da quasi un decennio. Anche perché, di andarsi a vendere i dati sensibili e i profili di Facebook delle persone a Cambridge Analytica, quello sì: gli riesce benissimo. Per Twitter, invece, il discorso è ben diverso: si tratta di una piattaforma assai più corretta, sotto il profilo professionale, che ragiona su un registro di tipo deontologico, che delimita molto il perimetro della comunicazione: in questo è Donald Trump a ragionare alla ‘carlona’. Ci sono una serie di questioni, infatti, che possono essere interpretate in base a criteri differenti e culture distinte. La visone economica di un socialista, per esempio, non può essere quella di un liberale. Ma se la loro discussione in rete verte sulla direzione che un Paese dovrebbe prendere o sulle motivazioni che conducono a preferire una decisione rispetto a un’altra, essa può considerarsi corretta. Quel che non si può proprio fare è mentire. Torniamo, ancora una volta, all’esempio dello sbarco degli americani sulla Luna nel luglio del 1969: l’idea che si possa liberamente affermare che Neil Armstrong e compagni sul nostro satellite non ci siano mai andati e che la missione Apollo 11 sia stata una gigantesca messa in scena, organizzata in un sofisticatissimo set cinematografico, non può circolare liberamente. Sia perché una simile ipotesi danneggia la reputazione di enti come la Nasa che, a fianco alle esplorazioni spaziali, svolge un ruolo di ricerca tecnologica, astronomica e schiettamente scientifica molto importante. Il ‘complotto lunare’ lo si può ipotizzare come fatto artistico, romanzato o di spettacolo, come avvenuto con il film ‘Capricorn One’. Ma certe ricostruzioni non si potrebbero affermare su piattaforme come Twitter o Youtube, utilizzate da tutti i professionisti del mestiere e dagli addetti ai lavori. Insomma, è vero che la verità oggettiva non esiste, dato che nessuna dottrina umana, anche la più affascinante, è in grado di dimostrare in eterno la propria esattezza. Anche quando essa risulta verificata, poiché una cosa vera oggi è fatalmente destinata a rivelarsi obsoleta, o superata, prima o poi. Quindi, nel dibattito politico, la verità oggettiva non esiste e si può andare per interpretazioni. Ma quando un’affermazione è falsa di ‘sana pianta’, cioè possiede un grado di credibilità eccessivamente basso – cosa che a Donald Trump capita spesso e volentieri – essa dev’essere rettificata, E se si tratta di una tesi da approfondire – di una ‘pista’, si dice nel giornalismo – allora l’utente è tenuto ad argomentare e a spiegare meglio quale tipo di ipotesi intende proporre e su quali prove essa è fondata. Quindi, la nuova norma voluta da Donald Trump al fine di abolire l’immunità giudiziaria per i social network, è totalmente errata, poiché salta a più pari la questione del soppesamento e della valutazione di un’informazione qualsiasi. Un tema fondamentale, poiché non si può appiattire tutto verso il basso profilo: ci sono materie e argomenti che sono, per loro natura, più complessi. Un provvedimento del genere avrà, come effetto principale, la riapertura dei tribunali, che si ritroveranno sovraccaricati di tutto, sia delle questioni gravi, sia dei litigi più futili. Siamo di fronte alla solita legge che mette tutto insieme, in un unico ‘calderone’, senza alcuna distinzione o valutazione delle notizie, che è poi il punto fondamentale di ogni corso di formazione per giornalisti. Insomma: per l’ennesima volta la si vuole ‘buttare in caciara’. E ciò viene proposto proprio da chi, nel corso di questi anni, secondo alcuni dati, ha già diffuso, tramite Twitter, circa 167 mila ‘fake news’. Siamo sempre sul medesimo punto: le leggi vengono fatte dai fuorilegge. Donald Trump è una vera e propria ‘macchina del fango’, in grado di scagliare accuse contro tutto e contro tutti. Esattamente come faceva un certo Stalin.
(29 maggio 2020)
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