di Vittorio Lussana #Giustappunto twitter@gaiaitaliacom #FaustoCoppi
Lo scorso 2 gennaio 2020 è ricorso il 60esimo anniversario della scomparsa di Fausto Coppi, il più grande campione di ciclismo della nostra Storia e, forse, di tutti i tempi, stroncato da una forma acuta di malaria non diagnosticata. Come tributo alla sua splendida carriera sportiva vogliamo pertanto ricordare una delle sue più grandi imprese: la mitica Cuneo-Pinerolo del 10 giugno 1949. Quell’anno, infatti, era stato predisposto che il Giro d’Italia affrontasse una tappa difficilissima, che prevedeva la ‘scalata’ di cinque montagne asperrime, destinate a entrare nella memoria di tutti gli appassionati di ciclismo. La maglia rosa era sulle spalle di Adolfo Leoni, ma già durante la Bassano del Grappa-Bolzano di qualche giorno prima, Coppi aveva dimostrato di essere in gran forma, andando a vincere la tappa dolomitica con sette minuti di vantaggio sullo stesso Leoni, dopo aver scalato in solitario i ‘passi’ del Rolle, del Pordoi e del Gardena. Dunque, già alla mattina della ‘punzonatura’, avvenuta in quel di Cuneo, tutti si aspettavano un nuovo ‘acuto’ dell’uomo ‘biancoceleste’ di Castellania. E, infatti, il ‘campionissimo’ si tramutò in un arcangelo imprendibile: rintuzzò un attacco di Volpi in vista del Colle della Maddalena e s’involò in un’impresa che fece rabbrividire tutti i giornalisti del tempo. Fu il volo di un airone ispirato da una forza superiore: Coppi scalò da solo la Maddalena, il Vars, l’Izoard, il Monginevro e il Sestriere, giungendo a Pinerolo con 12 minuti di vantaggio su Gino Bartali. Leoni finì lontanissimo, a circa venti minuti. Con quell’impresa, Fausto portò la sua sagoma e la sua smorfia a dipingere l’affresco di un mito incancellabile: per i laici, era divenuto un dio destinato a offuscare la razionalità e il materialismo; per i credenti, il segno più tangibile di come si potesse esser grati al creatore. Fu quella la prima grande ‘rivincita’ italiana, che allontanò definitivamente il ricordo di una guerra terribile, voluta dalla più accecante delle stupidità umane. La cronaca sportiva di quell’indimenticabile giornata è la seguente: dopo la partenza del ‘gruppone’ di corridori da Cuneo, i primi cenni di ‘nervosismo’ si erano avuti a causa del giovane Volpi, che puntava a vincere almeno due dei cinque Gran Premi della Montagna in palio quel giorno. Ma la Bianchi, la squadra di Coppi, riuscì subito a porre un freno al talentuoso scalatore, trascinando il proprio capitano in testa alla corsa sin dal diciottesimo chilometro. Portatosi in testa al gruppo, Coppi si avvicinò a Volpi – che a sua volta era seguito a ruota da Gino Bartali – e gli disse: “Non provarci più: oggi vado su io…”. “Ma ‘ddo vvai??? Ma ‘ddo vvai”??? esclamò Bartali, che aveva ascoltato la conversazione: “Ci sono cinque colli da scalare: tu sei solamente un pazzo”. Coppi, allora, si riportò in testa al gruppo e, mentre i suoi uomini iniziavano una manovra ‘a ventaglio’, tesa a compattare e a rallentare tutto il gruppo, all’improvviso Fausto si lanciò incontro all’ignoto. L’andatura della corsa divenne elevatissima: inserito un rapporto di pianura, Coppi iniziò a scalare la Maddalena con un passo costante. Bartali, nel frattempo, continuava a protestare: “Ma ‘ddo vvai??? Ma ‘ddo vvai???”. Il Passo della Maddalena non era una salita lunghissima, ma era la prova più dura di quella giornata dopo l’Izoard, separata dal Col de Varse da una discesa ripidissima, che si scaraventava ‘a piombo’ sul confine tra Italia e Francia. Salito in cima alla Maddalena con circa sei minuti di vantaggio, Fausto si lanciò in una discesa folle, spericolata, che lasciò tutti attoniti. Coppi aveva guadagnato altri minuti preziosi di vantaggio, ma anche Bartali era riuscito a salire in vetta alla Maddalena, nel tentativo di limitare i danni di quella fuga a prima vista inconcepibile. E si lanciò anch’egli in una discesa disperata all’inseguimento del grande rivale, che nel frattempo era già arrivato nella valle di Saint Paul, a 1400 metri sul livello del mare, rispetto ai 1900 del passo della Maddalena. Fausto ricominciò ad attaccare la salita del Col de Varse con temerarietà. La corsa a cui tutto il mondo stava assistendo rappresentava il nostro primo vero momento di ‘orgoglio’ dopo le umiliazioni patite sin dall’inizio della II guerra mondiale: due italiani eccezionali si stavano sfidando in un duello all’ultimo sangue sul ‘tetto’ d’Europa. Fausto salì in cima al Varse a 2150 metri d’altitudine, passando lo spartiacque e sconfinando in terra di Francia. Bartali, ancora ai piedi della salita, si giocava le ultime possibilità di raggiungerlo: rosso in volto, la maglia gli si era letteralmente appiccicata addosso per il sudore, diventando una seconda pelle. Disperato, si avvicinò ai motociclisti della Rai che facevano da staffetta per fornire notizie ‘flash’ della corsa, mettendosi a gridare: “Quanto ha??? Quanto ha???”. Il radiocronista, Mario Ferretti, assordato dal rumore del sidecar che arrancava sulla salita, chiese al proprio pilota di rallentare. Bartali, di nuovo, domandò: “Quanto ha di vantaggio”??? La risposta fu raggelante: “5 minuti! E’ passato da 5 minuti…”. Bartali era morto, un cadavere che pedalava pietrificato dall’umiliazione. E iniziò a ‘sputare veleno’ da tutti i pori: “Te la faccio pagare, ‘acquaiolo’! In Francia te la faccio pagare!!! Non eri nessuno nel ’40: io ti ho creato, io ti distruggo”!!! Fausto, nel frattempo, era giunto ai piedi dell’Izoard: aveva di fronte la salita più dura della storia del ciclismo, forse dell’intero universo. Tutto il mondo si bloccò come paralizzato, ascoltando le notizie che giungevano dalle radio: persino l’asse terrestre sembrava avesse smesso di ruotare su se stesso. Il commento di tutti, da New York a Mosca, da Buenos Aires a Melbourne, era scontato: “Non ce la fa, non può farcela: adesso ‘scoppia’…”. Ma Coppi, quel giorno, non era più un uomo: era diventato un dio, il dio delle corse. Senza mai alzarsi dalla sella della sua bicicletta, impresse a se stesso un’andatura costante, continua, impressionante. Era assai diverso da Bartali, un ‘bricoleur’ tutto ‘strappi e sacramenti’: lui era un’entità superiore, che pedalando poteva scalare persino le salite celesti in fuga dai secoli di miseria e umiliazioni patite e subite, nel corso della Storia, dagli italiani. I francesi strabuzzarono gli occhi quando lo videro arrivare in vetta all’Izoard che sembrava si fosse appena preso un caffè al bar. E lo videro lanciarsi nuovamente in discesa senza neanche mettersi la giacca a vento. C’era la neve sull’Izoard, l’ombra dell’ultima glaciazione terrestre a 2500 metri di altitudine. Ma nonostante il vento gelido gli tagliasse la faccia e le narici respirassero appena, egli si gettò a capofitto verso la valle de La Vachette, esattamente mille metri a strapiombo delle sue stesse ruote. All’inizio della quarta asperità, il Monginevro, i minuti di vantaggio erano diventati addirittura nove. Il gruppo, che già sul Varse si era ‘sgranato’, sull’Isoarde si ritrovò polverizzato, letteralmente disintegrato, come avesse incontrato un furioso uragano che lo aveva ridotto a uno sparuto ‘crocchio’ di sopravvissuti. Verso il Monginevro, la salita era più dolce. Fausto aumentò l’andatura, raggiunse il valico in una manciata di minuti e, immediatamente dopo, si scaraventò sullo strapiombo che ancora oggi scende verso Salice d’Oulx come l’otto volante di un luna–park. L’ultimo dislivello da affrontare era quello che dai 1100 metri di Jouvenceaux saliva sino ai 2200 del Sestriere. Gli stanziali cominciarono a uscire dalle proprie case per attenderlo ai lati della strada e applaudire il figliolo di due contadini che stava salendo verso la vittoria più incredibile e commovente della storia di tutto lo sport italiano. La gente iniziò a corrergli incontro, ad affiancarlo, a incitarlo gridandogli: “Sei il più forte! Dai, che ce la fai! Stai facendo mangiare la povere al mondo”! Qualcuno iniziò a piangere, qualcun’altro si esaltò in urla forsennate: “Vai su!!! Vai su, perdio”!!! Fausto non riusciva nemmeno ad alzare gli occhi dalla ruota, tormentato dal rischio di una foratura improvvisa: eventualità tutt’altro che improbabile sulle strade ‘maledette’ di quell’epoca. Il radiocronista Ferretti, comprendendo cosa stava accadendo quel giorno, ordinò al pilota del suo sidecar di aumentare l’andatura e di sorpassare Fausto, che intanto continuava a salire con il cuore che gli pulsava tra i denti. L’annuncio che sentiva di dover dare era il più bello, il più toccante di sempre. La moto sbandò sul circuito di arrivo di Pinerolo, dopo aver disceso la valle rischiando per ben due volte di ‘cappottarsi’. Lanciatosi a terra come un felino impazzito, Ferretti riuscì finalmente a raggiungere il primo microfono disponibile nella postazione ‘fissa’ della Rai: “Radioascoltatori di tutta Italia: a una decina di chilometri dall’arrivo della tappa di oggi, la Cuneo–Pinerolo, una massacrante salita di 192 chilometri che si snoda sulle montagne più alte d’Europa, un uomo solo è al comando, la sua maglia è bianco–celeste, il suo nome è Fausto Coppi…”.
(25 gennaio 2020)
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