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Quelli che volevano far chiudere Radio Radicale ora se la prendono con Il Foglio. E’ il democratismo penta-zingarettico

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di Giovanna Di Rosa #Politica twitter@gaiaitaliacom #PD

 

Eccoli di nuovo al lavoro i censori della Repubblica di Casaleggio, guidati – dopo il genio di Vito Crimidal Dem Martella, oggi alla guida del Dipartimento per l’Editoria di Palazzo Chigi, nuovi censori che decidono di togliere il piccolo finanziamento pubblico al quotidiano Il Foglio che si potrà non amare, ma che è indiscutibilmente l’unico (ci siamo anche noi, ma siamo meno bravi ed enormemente più poveri) che sbugiarda senza peli sulla lingua l’orribile disegno casagrillico che si gioca sulla pelle dell’Italia.

Insomma dopo averci provato con Radio Radicale, ci provano con Il Foglio. Non ci posso essere prigionieri nella nuova Italia dell’esperimento della demenza al potere. Meglio morti senza sangue.

Scrive il quotidiano Linkiesta che il governo potrebbe pretendere la restituzione di qualche milione di euro versati dallo Stato negli anni scorsi al quotidiano fondato da Giuliano Ferrara (dove ho lavorato per 14 anni) per un qualche inciampo burocratico che altro non è se non la volontà precisa, peraltro dichiarata pubblicamente da Casalino ai tempi del Conte 1, di far chiudere l’unico giornale italiano di carta che denuncia il carattere eversivo del progetto di Casaleggio e Grillo. E’ il potere del cavillo che si piazza lì. Just in case. Come diciamo noi che conosciamo le lingue. E che proprio per questo non saremo mai ministro degli Esteri.

L’articolo de Linkiesta del suo direttore editoriale Christian Rocca va oltre.

in particolare con Luciano Capone, il Foglio ha continuato a insistere pressoché solitario sull’anomalia antidemocratica dei casaleggesi ricevendo nel luglio del 2018 la (…) minaccia di Casalino ora pronta a concretizzarsi e anche, un mese prima, una grottesca lettera dell’attuale proprietario della testata Valter Mainetti, un uomo di relazioni romane non lontane dalle relazioni romane di Conte, che invitava i giornalisti del Foglio a trattare meglio il governo perché «il presidente Conte merita fiducia», come la Galbani, convinto nientedimeno che il premier avrebbe potuto «disboscare il sottobosco burocratico». Come no.

E ormai le cose hanno preso una piega tale che non stupisce nemmeno più di tanto che sia proprio il PD di Zingaretti, il segretario popul-dem, a lasciare che le cose vadano come vanno, oscenamente sdraiato sulle posizioni del laboratorio della demenza politica di fine secondo-decennio-del-nuovo-secolo-del-nuovo-medio-evo-tecnologico dove non importa la competenza, conta chi sa usare le macchine. Non stupisce, ma indigna, perché proprio il PD gridava allo scandalo quando ad avere i testicoli sotto mannaia era Radio Radicale, i cui archivi sono un patrimonio per tutto il paese, e viene da chiedersi che cosa aspettino i vari Renzi, Calenda, Richetti, la buona Carfagna a piantare una grana indicibile sulla questione della libertà di stampa in questo paese dove se vuoi avere vita lunga devi stare lontano dalle istituzioni e dalle facilitazioni vendute come tali che, dipende da chi si siede e dove, diventano bavagli.

E il fondatore de Il Foglio, già testa d’ariete dell’ex Cavaliere che racconta alle cene che ne fa tre a sera poi dorme – non c’è niente di più patetico di un ultraottantenne che si vanta delle sue prestazioni sessuali – dovrebbe sapere cosa sono i bavagli. Tanto che da uomo libero se ne è liberato appena possibile.

Nel frattempo mentre il paese langue sulla pelle della libertà di stampa, si massacra sulle misure economiche che non servono a una beata minchia, e si scanna in consiglio dei Ministri dove Italia Viva decide di non votare il milleproroghe, il PD di Zingaretti il cui più grande male era Matteo Renzi, fa passare roba come i decreti sicurezza e dignità, la legge spazzacorrotti, la fine della prescrizione, il decreto sulle intercettazioni, la riduzione dei parlamentari, il reddito di cittadinanza, quota cento e vedremo quali sorprese il 2020 porterà perché bisogna pur essere fedeli alla linea della sempre più patetica narrazione-convincimento della sinistra italiana secondo la quale basta essere al governo perché le cose vadano bene.

Poi ecco, come in un sogno, il Dem Martella, giustiziere de Il Foglio, dare consigli: “Istruttoria in corso. Evitare polveroni“. E godetevi le feste mentre, forse, ma fors’anche no, proviamo a farvi la festa.
E perché Martella chiede calma lo spiega bene Repubblica.

All’origine dell’esclusione del Foglio dai contributi per l’editoria ci sarebbe dunque un’indagine della Guardia di Finanza, come spiega un articolo pubblicato oggi dal sito del quotidiano fondato da Giuliano Ferrara nel 1996. Durante il governo gialloverde, la Guardia di Finanza aveva rispolverato una vecchia inchiesta di accertamento giacente da sette anni nei cassetti sui contributi per gli anni 2009-2010. Il verbale della Finanza  – si legge sul Foglio – stabiliva che il quotidiano “non aveva diritto in quel biennio ai contributi di legge perché non aveva raggiunto la percentuale del 25 per cento delle vendite calcolate sull’intera tiratura, il che è falso e è stato dimostrato falso nelle nostre controdeduzioni, cosa che qualunque tribunale civile è in grado di decidere in qualunque momento”. Secondo argomento della Finanza: “il Foglio era organo di un movimento inesistente – scrive ancora il sito del giornale –  la Convenzione per la giustizia, il che era gravemente falso, visto che il movimento esisteva, aveva tenuto un suo congresso di fondazione a Firenze, perfino alla presenza di Marco Travaglio”. Infine la cooperativa per la Finanza non era una vera cooperativa in quanto le forze che avevano dato origine al Foglio come Srl vi erano rappresentate e la sostenevano in relazione alla valorizzazione della testata, che il Foglio aveva da loro in affitto. “È l’ultima falsificazione di una serie”, scrive il quotidiano.

 

(24 dicembre 2019)

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