di Vittorio Lussana #Giustappunto twitter@gaiaitaliacom #Politica
Dopo la visita di questi giorni del segretario di Stato americano, Mike Pompeo, ennesimo imprenditore prestato alla politica, è sorta l’esigenza di mettere un poco d’ordine nei nostri rapporti con gli Stati Uniti d’America e, più in particolare, con l’attuale amministrazione Trump. Un governo, quello di Washington, che giudichiamo sostanzialmente inutile, assolutamente al di sotto della media di un Paese con una Storia e una grandissima tradizione, democratica e ‘tocquevilliana’, alle spalle. Una Storia che ha visto passare in rassegna personaggi e uomini politici come Franklin Delano Roosvelt, l’uomo che per primo mise in pratica le intuizioni di Keynes infliggendo un vero e proprio schiaffo morale al mondo intero, il quale aveva cercato di autodistruggersi con fascismi, comunismi, nazionalsocialismi e totalitarismi. Ma proprio nella fase storica in cui vediamo il ritorno ‘farsesco’ di tali miasmi, ci viene a mancare il sostegno di una società come quella americana, che si ritrova guidata da un’assurda amministrazione esecutiva che prima pone i dazi per far impennare i prezzi dei beni di importazione, dopodiché ti viene a dire di non innamorarti delle ‘vie della seta’. Tutto ciò nello stesso preciso momento in cui ha appena inferto una pugnalata mortale a quel mondo del commercio internazionale che è alla base degli scambi, anche culturali, tra le nazioni e gli Stati. Loro, gli americani, pensano unicamente a rianimare il proprio mercato interno secondo una logica da paesucolo di provincia, che provocherà nuovi dazi da parte dei mercati di tutto il resto del mondo. Oltre a ciò, questo Mike Pompeo, con autentica faccia tosta, viene anche a consigliarci paternalisticamente di stare attenti ai cinesi, i quali possiederebbero una mentalità predatoria, tesa a desertificare i mercati. Loro, invece, sono portatori di politiche di assoluta armonia, soprattutto quando decidono di isolarsi come ragazzini capricciosi. Bisogna insomma ricorrere a tutte le nostre scorte di amore verso gli Stati Uniti e la loro antica generosità, per riuscire veramente a pensare ad altro. Bisogna far finta di essere noi – noi europei e noi italiani – quelli che sono in ritardo, che proprio non capiscono l’attuale congiuntura macroeconomica mondiale. Un ritardo destinato ad aumentare quando ci si ritrova di fronte a un signore, Donald Trump, che non parla nemmeno, ma semplicemente emette dei suoni. Un ‘rumorista’ che genera solo chiasso su Twitter, come fosse un venditore di ‘padellame’. E bisogna anche stargli dietro a questi qui, perché nel ’45 del secolo scorso ci hanno liberati e, in seguito, aiutati col piano Marshall. Tutto ciò impedisce persino di pensare, perché sai già che se ti occupi di loro, ciò ti toglierà solamente del tempo e non favorirà alcuna azione. Azione che sarebbe comunque destinata a restar sospesa nell’abbandono, nel doversi dimenticare dei medesimi Pompeo e Trump. Perché in verità bisognerebbe agire, fare qualcosa, produrre discorso, al fine di indurre il popolo statunitense a liberarsi al più presto di un’amministrazione che, giorno dopo giorno, si sta dimostrando un’autentica ‘zavorra’. Perché anche pensare è un’azione, così come lo scrivere. Invece, per non peggiorare le cose, l’unica soluzione percorribile è quella di abbandonarsi, di assentarsi da se stessi per poter contravvenire all’azione, per realizzarla ‘derealizzandola’.
Poco si può dire di un conservatorismo da cartoni animati alienati, come se un’intera federazione di Stati abbia scientemente deciso di tuffarsi, con tutte le scarpe, dentro un episodio de ‘i Simpson’. Meglio evitare ogni corto circuito, quando è possibile, per riuscire a non rappresentare in alcun modo alcunché. Una ‘montagna’, gli Stati Uniti d’America, che questa volta ha partorito non un ‘topolino’, ma il nulla. Un Paese che, dopo aver salvato la democrazia in tutto il mondo, oggi naufraga scavalcando il post moderno, per arrivare alla deconcettualizzazione della ‘post politica’. E che presto si ritroverà a fare i conti con tutto questo suo ‘attardarsi’, con questo suo ‘autobloccarsi’.
Con l’avvento di Donald Trump siamo giunti veramente alla fine della politica, allo ‘scacco matto’ del dinamismo di una società ridotta a un gioco meccanicista sui social nel tentativo di spiazzare il mondo ricorrendo a concezioni obsolete e superate. Perché il talento fa quel che vuole, ma il genio fa quello che può. Il talento diverte, rallegra, intrattiene, ma senza un minimo d’intelligenza è semplicemente impossibile realizzare qualcosa di realmente utile e costruttivo. Siamo ufficialmente pervenuti all’antiopera: non ci sono progetti, né idee, poiché non c’è nulla di liberale, né di democratico, nel rinchiudersi in se stessi, se non quello di trascorrere una tranquilla serata in casa, di dormire o riposarsi, di far passare il tempo, per l’appunto. E non certo a rendere possibile l’impossibile.
(5 ottobre 2019)
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