di Ci Ci Erre #Giustizia twitter@gaiaitaliacomlo #LaBustinadellaServa
È di venerdì 11 gennaio la Sentenza della Corte di Appello di Torino che ha accolto il ricorso dei 5 riders licenziati dall’azienda Foodora. La vicenda parte dalla decisione di alcuni riders impiegati in Foodora che hanno adito il tribunale di Torino per vedersi riconoscere lo status di lavoratori subordinati e le relative tutele. I riders sono quei fattorini che pedalando ci consegnano l’ordine culinario a domicilio. Si tratta di nuove figure lavorative nate con l’avvento dell’era digitale e della “gig economy“, cioè del lavoro saltuario svolto senza contratto quando serve o quando si può. Il loro compenso dipende ovviamente dalle consegne.
Il lavoro della gig economy si contraddistingue per la possibilità di rifiutare gli ordini, da qui l’inquadramento come lavoro saltuario. Non è un dato da poco. Perché proprio sulla base della possibilità di rinunciare al lavoro commissionato tramite app, si basa la sentenza di primo grado.
Il giudice di prime curie ha negato il riconoscimento di lavoratore subordinato sulla base di:
- non vi è alcun potere disciplinare da parte del datore di lavoro;
- non vi è monitoraggio, ma le app installate sono strumenti che servono invece per il coordinamento;
- e che soprattutto non c’è subordinazione poiché non esiste alcun obbligo di effettuare la consegna.
Ciò che la Sentenza non dice sono i fatti che spesso non coincidono coi dati giuridici, anche se la linfa dovrebbe essere la stessa e si interrompe laddove tace sul fatto che sì i riders possono rifiutare le consegne, ma il rifiuto comporta il venir meno della “credibilità” del fattorino. Il risultato? Le richieste vengono indirizzate ad altri.
Riassunto: non pedali più.
Di qui lo sgomento passato e l’euforia per la novella sentenza che ribalta l’impostazione del primo giudice e statuisce «il diritto degli appellanti a vedersi corrispondere quanto maturato in relazione all’attività lavorativa da loro effettivamente prestata in favore di Foodora». La sentenza conferma però i licenziamenti dei 5 fattorini che avevano adito il Tribunale per avere la loro giustizia.
Una giustizia, a metà, ma pur sempre giustizia.
Ciò nonostante, non si può non evidenziare l’importanza di questa decisione che segna un forte incentivo alla regolarizzazione delle nuove forme di lavoro. Lo stesso lavoro su cui si fonda la nostra Repubblica, che cambia con il tempo perché i tempi cambiano, ed è bello sapere che la Giustizia riesce ad arrivare laddove i poteri preposti non riescono o non vogliono arrivare.
(11 gennaio 2019)
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