di G.d.S. #Economia twitter@gaiaitaliacom #Def
Il Tempo avanza inesorabile. Siamo in autunno inoltrato tempo di foglie ingiallite, del sole che diventa sempre più pallido e freddo. E’ anche tempo di castagne, funghi ed altri frutti offerti dalla natura in questo periodo. In economia è tempo, o meglio sarebbe tempo, di redazione di numeri tabelle analisi per far quadrare il disastrato bilancio del Belpaese, alle prese a sua volta con la sconclusionata redazione del D.E.F. e con il suo aggiornamento. L’impresa non è mai stata facile per nessun governo; far conciliare i numeri del bilancio dello Stato con le promesse elettorali e politiche è un aspetto di non poco conto.
La storia della redazione del D.E.F. inizia quest’estate con il dibattito tra i diversi componenti del Governo per il mantenimento delle promesse elettorali: le promesse sono tante e tutte hanno un costo abbastanza ragguardevole; si inizia dal reddito di cittadinanza, passando all’abolizione della Legge Fornero, al rimborso degli obbligazionisti beffati dagli scandali bancari, al regime forfettario al 15% per le partite Iva fino a 60.000 euro.
Per non dilungarmi troppo la storia inizia il 27 settembre scorso quando il Ministro Tria dopo settimane di dibattito in cui si era proposto quale difensore del rapporto deficit/pil all’1,6% cede alle pressioni dei due vicepremier del Governo pentaleghista e si arrende al deficit/pil al 2,4% per il prossimo triennio 2019-2021.
La prima conseguenza di tutto ciò viene dai mercati finanziari i quali molto sensibili e perspicaci hanno intuito che il ministro dell’ Economia non sarebbe stato il guardiano della tenuta dei conti del nostro Paese e che il pallino del gioco sia nelle mani dei due vicepremier. Le conseguenze pratiche di queste prime scelte sono state la vendita dei titoli di Stato italiani che hanno determinato un aumento dello Spread tra i gli stessi titoli italiani ed i Bunds tedeschi portando come conseguenza ad un peggioramento del valore dei titoli azionari delle stesse banche che come si sa sono piene di quei titoli del debito pubblico italiano.
Morale della favola di questa prima parte del racconto Il Ministro Tria alla fine di settembre cerca di rielaborare la bozza del Def ed il 1 ottobre rilascia un intervista al Il Sole 24 Ore spiegando che non aveva pensato alle dimissioni (che pure erano state paventate da tanti mass media) e va a snocciolare nuovi dati come l’aumento della crescita del Pil nei prossimi tre anni che passerebbe dal 0,9% annuo al 1,6 %, frutto dei maggiori investimenti che dovrebbero derivare – si parlava di una cifra intorno ai 15 miliardi di euro in tre anni!!! – dalla maggiore percentuale di deficit di spesa. Inoltre era intenzione del Governo sbloccare quei 38 miliardi di euro già presenti nelle voci di Bilancio derivanti da Fondi europei per il rilancio degli investimenti pubblici.
Qui iniziano le note dolenti che in parte minano la manovra del Governo pentaleghista perché la narrazione parla di maggiori risorse messe in mano a determinate categorie sociali potranno davvero rilanciare i consumi ed inoltre il rilancio delle opere pubbliche potrà rilasciare effetti positivi sull’economia nazionale già a partire dal 2019 permettendo una crescita del Pil al 1,6 %. Il Ministro Tria consapevole che la crescita previsionale del nostro Paese al tasso del 1,6 % non può essere considerata realistica ha ripreso la vecchia consuetudine delle clausole di salvaguardia che in passato scattavano sull’aumento delle Imposte (vedi aumento Iva) ma questa volta le stesse scatterebbero sul taglio della spesa pubblica cosa mai riuscita ad alcun governo e vero tallone di Achille del Bel Paese, anche se purtroppo i talloni d’Achille del Belpaese sono diversi…
In passato ci hanno tentato sia Carlo Cottarelli che altri nominati commissari alla spendig review che cercarono, con diverse ricette, di ridurre la spesa pubblica, senza riuscirci mai. Oggi invece il Governo attuale crede che in poco tempo possa ridurre la spesa pubblica applicando delle semplici clausole di salvaguardia per non compromettere la crescita del Paese dei Balocchi che si sono inventati ed i consumi dei suoi abitanti sotto tutela del pentaleghismo benevolente.
Il ministro Tria si è così presentato all’Ecofin del 1 ottobre cercando di giustificare il maggior aumento del deficit con una graduale riduzione nei prossimi anni senza però dire in che modo, dato che non lo sanno nemmeno loro, e aggrappandosi all’aumento della crescita frutto dell’aumento dei consumi frutto dell’aumento di non si sa cosa. In realtà la nota di aggiornamento al Def redatta dal Governo è una vera delusione in quanto le manovre in essa previste danno un colpo al cerchio ed una alla botte cercando di mantenere le promesse per la propria fetta di elettorato, ma non contengono nulla di certo perché improvvisazione e certezze vanno d pari passo solo per il ministro del Lavoro e sodali.
Così mentre da una parte si approva un provvedimento come il reddito di cittadinanza che agli occhi degli investitori internazionali sembra un provvedimento assistenziale in quanto non sarà per nulla facile determinare programmi di formazione che consentano il reimpiego di molte persone al momento tagliate fuori dal mondo del lavoro per mancanza di competenze specifiche, nonché di escludere i molti furbetti che cercheranno di usufruire del provvedimento magari integrando un reddito che viene percepito in nero. parlano di mandarli in galera.
L’altro provvedimento che invece dà il famoso colpo alla botte è la Pace fiscale che in parole povere sarà un ennesimo condono che premierà i soliti furbi che in questi anni anni hanno evaso il pagamento delle imposte e che sono la base dell’elettorato leghista (quella forza politica di governo che parlando di onestà riesce a spalmare la restituzione di 49 milioni di euro in 80 anni creando un precedente che ci farà sorridere per tre generazioni). Last but not least si scommette su una crescita che dovrebbe essere frutto del rilancio della Spesa pubblica attraverso i 38 miliardi dei fondi europei stanziati ma mai spesi dai precedenti governi, per il rilancio delle grandi opere con una contraddizione di fondo che è più una dimenticanza da Alzheimer: il M5S appoggia le grandi opere nel Def e poi le blocca sui territori a squallidi fini propagandistici ed elettorali.
In soldoni l’elefante del Governo del Cambiamento ha partorito il topolino del nessun cambiamento: le critiche della stampa internazionale già sono disponibili sul web non risparmiano alcuna critica e quelle della stampa nazionale vengono liquidate dal ministro del Lavoro che non ha mai lavorato con un post su Facebook dove si augura la chiusura dei quotidiani. Queste teste abbiamo al governo.
Citiamo in chiusura il buon Giuseppe Tomasi di Lampedusa: “Se vogliamo che tutto rimanga come è bisogna che tutto cambi”.
(7 ottobre 2018)
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