di Giovanna Di Rosa #marcotravaglio twitter@gaiaitaliacom #politica
Dunque l’amara esistenza presenta il conto a Marco Travaglio. Il paladino del pentastellismo che a suon di volgarità, mezze verità sussurrate e intuizioni personali ad uso pubblicistico vendute come assolute verità, l’uomo che ha combattuto il male berlusconiano e l’ignobilismo leghista anche a suon di articoli dalle granitiche certezze che venivano sgranocchiate il giorno dopo perché avevano lasciato il posto ad altre granitiche certezze che sarebbero durate ancor meno delle prime, si trova a dover fare i conti con i figlioli del M5S, creati dal quotidiano travaglino e quindi sostenuti e coccolati, quando non abbracciati col calore di una madre, che come ogni figlio – conquistata l’indipendenza – ti manda a quel paese e si fa i fatti suoi.
Un affronto inaspettato che getta il giornalista più geniale della storia d’Italia, secondo solo a Eugenio Scalfari, nello sconforto e all’interno di una vicenda che sa tanto di “chi di vaffa ferisce di vaffa perisce”, perché il figlio prediletto, il grillismo, ha sposato l’odiato nemico – uno dei tanti: quel leghismo che Marco Travaglissimo ha sbugiardato in ogni modo possibile e impossibile dalle colonne del suo stimato [sic] quotidiano già filo-scie chimiche.
Diteci voi cosa fareste, dopo esservi eletti a Granma (o Pravda che dir si voglia) del pentastellismo del pensiero greve e oscuro della Sacra Setta del Grillo utile all’Italia come il peperoncino su una ferita aperta, nelle condizioni dell’onnipresente invitato a parlare di tutto lo scibile umano proprio come se lo conoscesse. Diteci voi come fareste marcia indietro dopo essere stati i fondatori del travaglismo, pensiero che non esiste ma che in fondo anche sì, al quale ora vengono a mancare le fondamenta stessa del suo esistere: la volgarità che ora si è fatta istituzione di governo. Come potreste sopravvivere voi se per un lustro almeno aveste costruito le vostre fortune sbugiardando tutto l’esistente per ergervi ad unico faro di coloro che non volevano un giornalismo, ma un dio che volgarmente non gli spiegasse nulla fingendo di sapere tutto.
Eccolo così l’uomo che ha vissuto di antipolitica e di antipolitica ha ferito messo alla porta proprio dalla creatura che grazie all’antipolitica è arrivata in cima alla politica. Nemmeno Travaglio dell’Onniscienza poteva arrivare a pensare ad un simile schiaffo.
Ma la vita ci mette alla prova. Così il buon Travaglio si trova a godersi le insopportabili pose da ducetto viziato di Luigino Di Maio già steward, mestiere molto più volgare del giornalista, dovete convenirne, e che dimostra di infischiarsene della granitiche opinioni, finché durano, del giornalista che sa tutto e molto di più.
Marco Travaglio deve così chiedere aiuto a Peter Gomez che non se lo fa dire due volte e che, in un editoriale del 10 maggio, rassicura i lettori del suo giornale scrivendo che faro del disfatto quotidiano sarà, come sempre [sic], la Costituzione. Perché per fare marcia indietro ci vuole faccia tosta.
A Travaglio non resterà che continuare nella sua occupazione preferita: trovarsi un nemico da distruggere a colpi di penna ed apparizioni televisive pagate anche con soldi pubblici. Il nemico è già lì, il governo pentaleghista che puzza di neofascismo lontano un miglio e che Travaglio, avendo come faro la Costituzione [sic], potrà smontare pezzo per pezzo, ammesso che gli convenga per continuare, insieme al fido Scanzi, nella sua opera di costruzione del giornalismo della volgarità, della parolaccia, delle opinioni personali e dei contenuti anche pochi. Perché al genio non c’è limite.
(11 maggio 2018)
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