di Vittorio Lussana #giustappunto twitter@vittoriolussana #politica
In Italia, noi abbiamo due feste laiche: il 25 aprile e il 1° maggio. Eppure, ogni anno c’è sempre qualcuno che sente il bisogno di proporne l’abolizione, ipotizzando in tal guisa un calendario punteggiato unicamente dal 2 giugno e dalle festività religiose: quelle da passare coi parenti ‘scassacoglioni’. Ciò accade perché siamo diventati un popolo senza memoria. E ciò equivale a dire senza Storia. Un bel pezzo di questo Paese, infatti, da sempre tende a rimuovere il passato, perdendosi nell’oblio dell’etere televisivo e mantenendo in vita solo alcuni ricordi: quelli che tornano comodo per dimostrare le proprie ‘contorsioni’. Purtroppo, l’Italia è un Paese convinto di muoversi non accorgendosi di camminare sempre ‘in cerchio’; in cui tutto cambia per restare esattamente com’era prima; dove “tutto scorre” senza mai togliersi veramente di mezzo ai ‘coglioni’. Come nei casi di Giulio Andreotti e Silvio Berlusconi, giusto per citarne un paio ancora ‘caldi’. Se l’Italia avesse cura della propria Storia, si accorgerebbe che Giulio Andreotti e Silvio Berlusconi sono la conseguenza di un ‘veleno antico’, di una metastasi invincibile: quella che impose un Cristo ‘greco-ellenista’ per convincere i Romani che il cristianesimo poteva ‘coabitare’ con l’impero della ‘forza bruta’ e della violenza organizzata, rinnegando il vero Gesù zelota e colpevolizzare gli Ebrei per la sua condanna a morte.
Se gli italiani avessero memoria, imparerebbero che in questo Paese, speciale nel vivere ‘alla grande’, ma sempre e perennemente con le ‘toppe al culo’, certi ‘vizi’ sono ciclici e si ripetono da decenni, incarnati da uomini diversi, ma perpetuando sempre lo stesso cinismo, la medesima indifferenza verso l’etica, un’assurda ‘allergia’ nei riguardi della coerenza o di una qualsiasi forma di tensione morale. Tutto questo proprio non si riesce a farlo comprendere: sono tematiche ‘radical chic’, oppure tacciate di ‘antiitalianità’. Ogni anno siamo costretti ad ascoltare le stesse, medesime, “sciocchezze” di chi proprio non riesce a nutrire orrore verso se stesso e la propria viltà ‘maramaldesca’; di chi continua a manipolare ogni verità a dispetto di prove, fatti ed evidenze; di chi insiste nel cercare di dissimulare la propria indifferenza e sterilità morale nei confronti del prossimo; di chi spaccia come novità la mediocre consapevolezza di chi è giunto in stazione con ‘l’ultimo treno’; di chi reitera ‘ad libitum’ la terrificante superficialità di poter decidere sempre l’ultima delle cose che gli vengono in mente, abolendo repentinamente tutto ciò che si era stabilito in precedenza; di chi intende mantenere in vita la ‘cretina’ convinzione di poter cambiare, in ogni momento, le ‘carte in tavola’, soprattutto quando il gioco volge a proprio sfavore. Può anche darsi che il vero significato del 25 aprile, oggi, possa essere considerato un qualcosa di ormai lontano nel tempo. Ma allora bisognerebbe elaborare un nuovo significato di libertà e di democrazia, per questa festa. E se il 1° maggio rischia di trasformarsi in un funerale per i tanti che un lavoro non ce l’hanno, allora si dovrebbe provare a comprendere chi ha voluto la proliferazione di milioni di laureati incapaci di scrivere, in un italiano semplice e comprensibile, una ‘mezza paginetta’, oppure che appende al muro i propri titoli di studio per poter fare la moglie ‘cornuta’ di un marito che, da sempre, si sente autorizzato ad andare con transessuali e prostitute. Per non parlare, infine, dei tanti preti che combattono l’omosessualità pur praticandola regolarmente.
Dare un ‘nuovo senso’ alle cose non è affatto un passatempo per intellettuali ‘radical chic’: anche le dottrine di destra potrebbero tornare a ‘produrre discorso’, a teorizzare una nuova ‘cura del corpo’, a riflettere sull’importanza del mantenersi in buona salute o dell’autoeducazione del singolo individuo. Anche in una ‘chiave’ estetico-decadente, ‘neo-morandiana’, ‘neo-gentiliana’ o ‘neo-dannunziana’ che dir si voglia. Invece, niente: qui da noi ci si limita a individuare una categoria qualsiasi di persone su cui ‘scaricare’ ogni colpa o responsabilità, su cui sfogare le proprie frustrazioni e complessi d’inferiorità. Quelli di chi continua ad attardarsi nella melma della più atavica inciviltà e arretratezza.
(26 aprile 2018)
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