di Mila Mercadante #Israele twitter@gaiaitaliacom #visioni
Fino a qualche anno fa gli intellettuali che difendevano la causa palestinese e che esprimevano dure parole di condanna nei confronti del governo israeliano venivano sopraffatti dallo sdegno generale e dalle critiche. In Italia Gianni Vattimo, Margherita Hack, Edoardo Sanguineti e numerosi altri esponenti della sinistra radicale e del mondo accademico paragonavano Gaza ai campi di concentramento nazisti, scatenando reazioni. Oggi sono gli intellettuali israeliani a parlare di razzismo, di fascismo e di nazismo. Probabilmente quel che dichiara Gideon Levy in un articolo apparso su Internazionale il 14 aprile è vero: Levy sostiene che Benjamin Netanyahu è cattivo perché gli israeliani lo vogliono così, dice che il premier si trattenga dall’essere peggiore di com’è, perché se volesse soddisfare i desideri e le aspettative del suo popolo sarebbe molto più crudele. Effettivamente pare che l’ultranazionalismo tossico sia in forte crescita in Israele. Lo storico israeliano Zeev Sternhell si domanda quand’è che lo Stato di Israele abbia iniziato a deviare verso la mostruosità di una crudeltà senza appello nei riguardi dei palestinesi, degli arabi israeliani, dei sudanesi e degli eritrei richiedenti asilo e che hanno figli a tutti gli effetti israeliani.
Pare che il popolo israeliano voglia il sangue dei palestinesi ed esulti quando i cecchini giocano al tiro al bersaglio contro di essi(esultano anche i media), pare che desideri sbarazzarsi di chiunque non sia “proprietario legittimo” della loro terra. La sinistra israeliana non è stata più in grado di opporsi a questa escalation, non c’è più nessuno che possa concretamente contrastare il nazismo, perché di nazismo si tratta. L’apartheid applicabile agli arabi che hanno la cittadinanza israeliana, le violenze gratuite, l’appropriazione indebita di territori, lo sfruttamento del lavoro dei palestinesi (vengono pagati con molto ritardo oppure non vengono pagati affatto), lo sversamento di liquami sui campi coltivati dai palestinesi, i bombardamenti, gli arresti ingiustificati, le offese e le ingiurie per strada contro tutti coloro che sono percepiti come estranei, il razionamento dell’acqua, il disprezzo sistematico, la negazione dei diritti fondamentali, sono comportamenti che la stragrande maggioranza degli israeliani approva. Possibile? Se Levy ritiene che il governo faccia ciò che il popolo chiede, è lecito sospettare che la propaganda mediatica influenzi pesantemente le coscienze. Lo scopo ultimo è costringere i palestinesi a partire, a lasciare quel po’ di territorio che gli resta e in cui sono nati e cresciuti. E se non se ne vogliono andare, che muoiano. Il medesimo obiettivo riguarda anche gli africani, che il governo israeliano avrebbe recentemente voluto deportare in Europa e in Canada. Se non vengono rimpatriati in Africa è solo perché tra ostacoli burocratici e costi esorbitanti la faccenda risulterebbe irrisolvibile.
Zeev Sternhell ritiene che la devastazione morale che ha pervaso il popolo di Israele sia lo specchio di quel nazismo che si sviluppò in Germania contro gli ebrei. Un sentimento di insicurezza si è trasformato in razzismo tout court, si è aperto nei cuori degli israeliani e li possiede. Essi hanno perduto se stessi cercando di difendersi. Colpisce l’assoluta indifferenza da parte della comunità internazionale, che se la cava esternando di tanto in tanto parole di condanna quando si ha notizia di qualche morto di troppo.
(15 aprile 2018)
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