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Rendez Vous 2018, il regista di “Makala” vuol fare sentire buoni i colonialisti e i Francesi

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di Alessandro Paesano #Cinema twitter@gaiaitaliacom #rendezvous2018

 

 

Makala (t.l. Carbone) (Francia, 2017) di Emmanuel Gras, gran premio della Semaine de la Critique al Festival di Cannes 2017, racconta del giovane Kabwita, che vive nel poverissimo villaggio di Walemba. Per comperare le medicine a sua figlia, che ha la diarrea, Kabwita intraprende un viaggio pericoloso, per vendere il carbone (che ha ottenuto dopo aver abbattuto un albero che ha trasformato all’uopo in makala).

Costruito secondo tecnica del pedinamento, la m.d.p. segue Kabwita in ogni suo spostamento, registrando tutto quello che vede senza intervenire, in una operazione di mera restituzione al pubblico europeo (francese) senza evincerlo sui problemi del Congo né su quelli specifici del villaggio di Walemba, presentando al crocevia  un irrisolto dilemma etico.

Il regista, presente in sala, ha detto, in italiano, che poco importa sapere se il suo film è un documentario o un film di fiction, l’importante e che affronti i problemi che attanagliano il protagonista del suo film.

Non potremo essere meno d’acordo.

Se quello che il film ci mostra è fiction Makala nulla aggiunge al filone di film pittoreschi che, con mal celato gusto radical chic, ci mostra la povertà dell’Africa senza nemmeno provarsi a individuarne responsabilità che sono tutte nostre, europee, visto che l’Africa è un continente ex colonizzato da noi.
Se quello che il film ci mostra è accaduto davvero vorremmo chiedere al regista perché, invece di limitarsi a riprendere Kabwita  quando trasporta i suoi sacchi di carbone con una bicicletta esile, non lo abbia aiutato, preferendo trasformare la vita del giovane congolese in uno spettacolo per il grande schermo.

E al di là della risposta (se cioè il film sia una fiction o un documentario) il fatto stesso che ponga questa domanda lo rende eticamente abituo. 

Gras si dimentica (altro che documentario etnografico!!!) che i documentari, quelli veri, quelli importanti dei quali, pure, la Francia ha una tradizione importante, non si limitano a riprendere quel che il regista vede ma instaurano un rapporto di reciprocità e rispetto con il luogo e le persone di indagine.

Invece lo  scopo precipuo di Makala sembra quello di far sentire più buono il pubblico occidentale cui il film si rivolge perché si amareggia delle condizioni di degrado in cui Habwita vive,  senza nemmeno chiedersi come fra il regista a rimanere impassibile quando a Walamba durante il viaggio viene fatta cadere la bici,  intento a riprendere la solidarietà dei fratelli africani, senza intervenire lui stesso che, pure, sta lì a un passo da Kabwità.

Il colonialismo culturale è nelle strutture profonde di potere di una Europa  sempre troppo disgustosamente etnocentrica.

 

 

 

 




 

(8 aprile 2018)

©gaiaitalia.com 2018 – diritti riservati, riproduzione vietata

 

 




 

 

 

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