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Comitato 5 Marzo e Diritti Civili, ne parliamo con Aurelio Mancuso

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di G.G. #comitato5marzo twitter@gaiaitaliacom #politica

 

 

Da qualche settimana è nota la nascita di una rete di iscritti e non che si riconosco nel PD, nota come “Comitato 5 Marzo”, che promuove un’azione tesa al rinnovamento del partito che parta dal basso, dalle idee e che abbandoni i deliri verticistici dell’uomo solo al comando.

Abbiamo chiesto ad Aurelio Mancuso, uno dei promotori dell’iniziativa, di parlarcene ed abbiamo approfittato della sua disponibilità per rivolgergli qualche domanda sulla situazione politica attuale, nel dopo elezioni e prima dell’insediamento di un governo che più a destra non si può.

 

Cos’è il Comitato 5 marzo?

E’ una rete di iscritti e non aderenti al Pd, che dopo la pesante sconfitta del 4 marzo, intendono mettere in relazione tutte le persone interessate a una rinascita del partito che parta dal basso e soprattutto dalle idee.

Viene da una Sua iniziativa?

E’ un’iniziativa collettiva, cui ho partecipato fin dalla sua nascita. Già da quest’estate un gruppo di persone si sono più volte ritrovate per confrontarsi sulla vita interna e l’azione politica esterna del Pd romano, interrogandosi su ciò che non funzionava e che percepivamo come pericolosamente inadeguato in tutto il paese.

Cosa è successo al PD?

Per dirla con un’espressione storica usata da Enrico Berlinguer rispetto alla storia della rivoluzione sovietica: “ha esaurito la sua spinta propulsiva”. Dopo dieci anni di vita di un partito, nato dalla volontà di fondere le due grandi culture popolari italiane, quella democristiana e quella comunista, sono emersi tutti gli errori e i ritardi rispetto a una fusione che doveva andare oltre il passato, per costruire un partito riformista democratico. Le forze progressiste a vocazione governativa sono tutte in crisi in occidente, alcune sono ridotte al rischio di estinzione. Anche in Italia non abbiamo saputo ascoltare con attenzione la sofferenza patita da una vasta parte degli italiani colpiti da una crisi economica dura, cui il governo ha risposto con provvedimenti importanti, che però o non sono stati sufficienti o non sono stati avvertiti come incidenti rispetto alla vita quotidiana delle persone.

Ci sono responsabilità che indicherebbe?

Le responsabilità sono molte e non tutte imputabili alla leadership di Matteo Renzi, cui bisogna riconoscere di aver tentato sia politicamente e sia con il suo governo di immettere fiducia, di sollecitare le forze produttive a uno sforzo per accompagnare la ripresa. Ma la sua stessa figura, dalla campagna del referendum costituzionale in poi, non è stata più in sintonia con l’umore del paese: noi parlavamo di riforme costituzionali (che erano molto importanti), mentre in Italia montavano rabbia, paura, sfiducia.  Aristocratici e intenti a raccontare un paese in marcia, non abbiamo visto le periferie (non solo quelle geografiche) affamate di lavoro, di casa, di sostegno sociale, di risposta alle troppe solitudini. Senza alimentare polemiche, bisogna però dire che una parte del Pd ha tentato di spiegare che provvedimenti come il Jobs Act o la Buona Scuola, per il modo con cui sono stati pensati ed approvati, avevano determinato una rottura con diversi segmenti dell’opinione pubblica tradizionalmente democratica. Insomma le responsabilità dentro il Pd sono condivise, ma non possono essere imputate in egual misura.

Cosa occorre per uscire dal pantano di una sinistra o fintamente radicale o sempre troppo a destra?

Si è aperto un profondo dibattito, che avrà bisogno di tempo per svilupparsi con raziocinio, ora siamo ancora nella fase dell’elaborazione del lutto. Due cose appaiono chiare: il Pd così come è oggi (e anche un po’ ieri) non è in grado di proporsi come alternativa alle destre e al populismo. Alla sua sinistra, tutti i progetti di raccogliere i consenti in uscita dal Pd sono stati miseramente sconfitti, LeU ha ottenuto la stessa percentuale, e in alcuni casi ancor minore, di tutte le formazioni che in questi anni hanno tentato di essere una proposta alternativa al Pd. Quel poco più del 3% ottenuto sommando i fuoriusciti del Pd, Possibile, SI, suona come un definitivo de profundis. Ma nemmeno sommando tutta la sinistra si arriva una cifra degna di un’area che in questo paese è oscillata dal 30 al 35% dei voti. Con quelle percentuali si riusciva, poi, a intercettare formazioni e aree di consenso di centro, che permettevano la conquista del governo. Tutto questo oggi non c’è più. Mi pare che nemmeno tra sapienti dirigenti nazionali, si abbia la consapevolezza che non ce la caveremo con un congresso e una primaria per risollevare le sorti del centro sinistra italiana. Il tema di oggi non è l’individuazione di un leader, ma è capire chi vogliamo rappresentare e come. Lo stesso strumento organizzativo del partito è da ricostruire; dopo tante inutili discussioni è ora di mettere mano a un corpo del Pd evidentemente inadeguato.

La democrazia è in pericolo?

Non drammatizzerei. La democrazia italiana ha dimostrato di esser forte, anche nei passaggi più complicati della sua storia. E’ però sicuramente messa in discussione una certa idea della democrazia. In special modo il M5S propone una contrapposizione tra democrazia rappresentativa e quella diretta, quella per intenderci che privilegia le consultazioni referendarie, forme di partecipazione dal basso da parte dei cittadini, tra cui l’utilizzo della rete. Quest’ultimo aspetto è sicuramente il più inquietante. Il web è uno strumento che può essere utilizzato in diversi modi; bisogna rilevare come gli ultimi scandali sulla cessione di dati degli utenti da parte di Facebook, facciano comprendere quanto siamo di fronte a enormi manipolazioni e influenza indebita su come orientare le opinioni di centinaia di milioni di utenti. E’ indubbio, che in futuro il nesso tra democrazia e internet dovrà essere affrontato, non certo partendo dai non brillanti e misteriosi strumenti utilizzati dai pentastellati. Più in generale l’Unione Europea e tutto il mondo libero, debbono considerare come necessarie norme che rendano sicure e trasparenti le attività dei grandi social e network.

Quanto peserà il Comitato 5 marzo nelle scelte future del partito?

Noi siamo una piccola esperienza, che tende a indicare come indispensabili luoghi di confronto dentro e fuori il Pd; un esempio di come, a prescindere dalle correnti e del posizionamento di questo o quel leader, sia necessario costruire una comunità di idee, fatto questo per ora mancato. Il pluralismo interno è finora stato vissuto come la moltiplicazione di diverse aree e comitati elettorali, organizzati per promuovere questa o quella filiera o leader. Così la vocazione popolare e di apertura all’esterno si è consunta, i circoli svuotati di ogni funzione decisionale, il dialogo con la società si è interrotto.

Cosa si aspetta dal governo di estrema destra che potrebbe nascere?

Se nascerà un governo centro destra –  cinque stelle, è ovvio che alcune delle promesse fatte in campagna elettorale, almeno sul terreno della sicurezza, dell’immigrazione, di una visione individualistica della difesa personale, saranno in qualche modo mantenute. Andiamo verso una maggioranza, che ha per ora grande consenso nel paese, a vocazione russo-americana. Trump e Putin rappresentano per questi partiti i due “decisionisti” da cui prendere ispirazione, piglio autoritario, interventi che rassicurino la paura percepita, a detrimento di spazi di libertà e di sensibilità sociale. Ma il vero banco di prova sarà per i pentaleghisti il dramma dell’impoverimento della popolazione (18 milioni di persone pari al 30% degli italiani e al sud la percentuale tocca e supera il 40%), su cui i governi di centro sinistra aveva cominciato a rispondere con l’istituzione del fondo permanente per la povertà e il reddito di inserimento.

Pericoli per i pochi diritti individuali esistenti in Italia ne vede?

Io spero che siano così concentrati a far stare in piedi un possibile governo insieme, da non avere la forza di rimettere in discussione leggi come il biotestamento, il dopo di noi, le unioni civili, tortura, ecc. Certo il Parlamento uscito dalla urne non si prefigura amico dei diritti civili e umani, e l’elezione a presidente del Senato dell’ultra reazionaria Maria Elisabetta Alberti Casellati, non è un buon segnale. Non voglio essere inutilmente polemico, ma se il movimento lgbt invece di perdere due anni a criticare la legge sulle unioni civili, avesse avuto la capacità di rilanciare su adozioni, matrimonio e omofobia, forse nell’opinione pubblica si sarebbe percepita l’importanza di un cammino appena avviato. Non voglio fornire idee e argomenti ai nostri nemici, ma certo anche le unioni civili sono una legge a rischio.

Cosa è per Lei il M5S?

Il gruppo dirigente e gli strumenti politici ed organizzativi di quel movimento, sono molto distanti dai miei valori. Le bugie, gli insulti, l’aggressività violenta sui social, il linguaggio sempre offensivo e accusatorio rispetto agli avversari politici, costituiscono un sistema di disvalori che mi fanno provare repulsione. Le rivoluzioni sono sempre maleducate e, comprendo la demagogia, che intende far credere che si voglia abbattere il sistema costituito. E’ però evidente che il populismo dei grillini, che per me ha connotazioni evidenti di estrema destra, abbia avuto il sostegno di una fetta importante di elettori che negli anni precedenti avevano votato a sinistra e, questo non solo ci deve far riflettere, ma ci deve indurre ad abbandonare atteggiamenti di disprezzo nei confronti di chi, non avendo una vera formazione politica e, mostrando con orgoglio una composizione popolare e di persone normale delle proprie liste, ha svelato quanto le nostre fossero elitarie e supponenti. Se ci interessa tornare ad essere un partito popolare, dobbiamo fare i conti sul fatto che, oggi, siamo un partito che rappresenta i tutelati, media borghesia, pensionati, occupati stabili (e non tutti).

 





(26 marzo 2018)

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