di Daniele Santi #Politica twitter@gaiaitaliacom
C’è stato un tempo in cui, non ci crederanno coloro che conoscono la faziosa ostilità, il livore personale del protagonista della nostra storia nei confronti di Bettino Craxi, l’uomo che non sbaglia mai Eugenio Scalfari si candidava nelle fila del PSI milanese capitanate proprio da Craxi, riuscendo a farsi eleggere. Era il 1960, con Scalfari nella loro liste i Socialisti pensavano di fare sfracelli, ma crebbero solo dello 0,6% dal 20,1 al 20,7% con gli odiati comunisti a meno di un punto. Non ci è dato sapere se la rivalità tra Scalfari e Craxi sia nata in quel periodo o dopo, quando Eugenio Scalfari l’infallibile si trovò a sedere sulle poltrone della Camera durante la V legislatura, eletto con il Partito Socialista – ancora – qualche anno prima di fondare La Repubblica, diversi anni prima che il suo odio (politico, of course) per Bettino Craxi si manifestasse in tutta la sua potenza.
Era la famosa questione morale, spesso assai sbandierata in questo paese, ma mai troppo chiarita, a mettere Eugenio Scalfari di traverso rispetto a Craxi il quale non gliela perdonò (i due avevano in comune un certo qual spiritello rancoroso che non dimentica facilmente, diciamo) e i meno giovani ricorderanno la feroce campagna di Repubblica contro Craxi ai tempi di Mani Pulite, quando il quotidiano di Scalfari dovette difendersi dalla scalata di Silvio Berlusconi (che corruppe un giudice pur di avere una sentenza favorevole); il resto della vicenda, compresa l’orribile storia del lodo Mondadori e dell’ascesa politica dell’ometto di Arcore, la conosciamo.
Ora è il turno di Matteo Renzi, perché senza nemici Eugenio Scalfari non può stare, e della riscoperta di Berlusconi rispetto alla pochezza di Di Maio (risparmiateci, per favore, la favoletta della decontestualizzazione delle dichiarazioni di Scalfari, ce l’hanno già propinata); è anche il momento della riscoperta del presunto potere di fuoco della carta stampata [sic] rispetto alla politica, con la televisione a fare da spettatore e l’anziano fondatore che alla finta domanda trabocchetto su chi sceglierebbe come premier, fa un nome.
Avrebbe potuto rispondere senza rispondere, dicendo ciò che molti pensano: cioè che se si vuole andare verso un vero riformismo la risposta non può stare in un imprenditore che abbiamo già visto all’opera, con i disastri che sono sotto gli occhi di tutti, o un incolto rappresentante di una squadriglia di esaltati che guardano alle scie chimiche. Scalfari ha scelto la via più facile, come quando ha trovato più semplice fare la guerra a Craxi per antipatia personale, a Berlusconi perché gli voleva scippare la Repubblica o a Renzi perché non gli riconosce il titolo di Grande Saggio d’Italia.
(24 novembre 2017)
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