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“Giustappunto!” di Vittorio Lussana: Italiani mediocri attori teatrali, anche nel calcio

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di Vittorio Lussana #Giustappunto twitter@vittoriolussana #Calcio

 

 

Lo avevamo già intuito qualche mese fa, dopo l’ennesima sconfitta della Juventus in una finale di Champion’s League: l’Italia, non solo quella calcistica, ha ormai imboccato una ‘deriva provincialista’ che rischia di trascinarla verso un tunnel di cupezze e delusioni. Il calcio, in quanto principale ‘specchio’ della cultura popolare italiana, già da tempo ha lanciato i suoi segnali. L’attuale presidente della Figc, Carlo Tavecchio, è un ridicolo gaffeur, antiquato e totalmente inadatto a un ruolo di tale livello e portata. Purtroppo, egli gode dell’appoggio dei presidenti delle società calcistiche, personaggi altrettanto discutibili, buoni solamente a fornire materiale satirico per il comico Maurizio Crozza. Ultimamente, ho potuto ascoltare alcune lucide analisi dall’attuale presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis, un manager ben diverso rispetto a gente come Claudio Lotito e Massimo Ferrero: forse, i caotici napoletani sono riusciti, per una volta, a ‘imbroccarne’ una giusta. In ogni caso, la notizia vera di questi giorni non è tanto quella dell’eliminazione dell’Italia dai campionati del mondo che si terranno la prossima estate in Russia, né che un simile evento non si verificasse dal lontano 1958, quando fummo eliminati a Belfast da una ‘rognosa’ Irlanda del nord. La vera notizia di questi giorni è che, dopo un fallimento del genere, abbia pagato unicamente l’allenatore, Gian Piero Ventura. Era chiaro sin dal suo ingaggio iniziale che si trattasse di un buon allenatore e niente di più. Uno di quei selezionatori in grado di guidare squadre di medio livello, come appunto il suo buon Torino degli ultimi anni. Invece, colui che si è assunto la responsabilità politica di una scelta del genere, Carlo Tavecchio, rimane al proprio posto, tanto per fornire l’ennesimo esempio di un Paese in cui non cambia mai nulla, poiché vittima di una mentalità arretrata e maledetta. Questo è il vero segnale di arretramento e impoverimento: quello di una burocrazia inamovibile che, giorno dopo giorno, sta sempre più dimostrando di non riuscire più ad ‘azzecarne’ neanche una. Gli effetti dell’innalzamento dell’età pensionabile non stanno affatto colpendo, come si temeva fino a qualche anno fa, i mestieri usuranti o le professionalità autonome e di concetto, bensì la nostra burocrazia, che non riesce proprio a liberarsi da un modo mentalmente pigro di concepire la ‘prassi’. E cioè non in quanto sinonimo di ‘pratica’ rispondente a un dignitoso principio laburistico di efficienza, bensì come mera consuetudine, che degrada ogni questione da ‘spirito’ a ‘cosa’, declinando verso il conservatorismo più ottuso. Ma cosa ci sarebbe di così tanto prezioso da conservare, nel calcio italiano? A parte il fatto di essere riuscito a rompere i ‘coglioni’ persino a chi, come il sottoscritto, lo ha amato immensamente, con le sue rozze tifoserie e i pittoreschi personaggi che lo popolano, c’è innanzitutto da dire che, solo una ventina di anni fa, il nostro football dominava l’Europa; che i calciatori migliori del mondo volevano venire a giocare qui da noi; che le partite del nostro campionato erano seguite in tutto il mondo. Perché, dunque, siamo caduti così in basso? Ebbene, l’elenco di problemi che si sono sovrapposti gli uni sugli altri, sono i seguenti: a) dai tempi di Italia ’90, nessun intervento è stato effettuato per ammodernare i nostri stadi; b) il pubblico sugli spalti, quello normale, che vorrebbe semplicemente vedere uno spettacolo sportivo, continua a scarseggiare; c) il marketing aziendale è divenuto, quasi improvvisamente, antiquato e insufficiente; d) la capacità di bloccare razzismi e violenze è praticamente inesistente; e) la competizione tra le varie squadre del nostro campionato maggiore divide nettamente le 3 o 4 compagini economicamente più forti dal resto delle altre; f) il numero stesso delle formazioni che compongono la nostra serie ‘A’ è eccessivo: un girone unico di 20 squadre che, già sotto le feste di Natale, ha decretato le 3 formazioni destinate alla serie B; g) in sede di formulazione del calendario, quest’anno è stato combinato un ‘casino’, senza ‘teste di serie’ e con partite di ‘cartello’ già a settembre; h) i gol sono pochi e scarso è lo spettacolo in campo; i) gli sponsor, infine, ormai scarseggiano.

L’arrivo di Carlo Tavecchio alla presidenza della Federazione italiana giuoco calcio ha drammaticamente accelerato una crisi divenuta irreversibile, non esclusivamente tecnica. Eppure, a pagare è solamente l’allenatore di turno e, dopo il ‘tracollo’, tutti si sono trasformati in commissari tecnici, mettendosi a parlare di cross tesi e di calcio a ‘palla bassa’, di fraseggi e triangolazioni per riuscire a penetrare tra le maglie dei difensori svedesi, veri e propri armadi a 4 ‘ante’ assemblati dagli addetti dell’Ikea. Ma a tutti è sfuggita una cosa semplice e, a dir poco, lampante: questa volta, i veri italiani sono stati gli svedesi, furbi, ordinati e ‘catenacciari’. Ci hanno ‘fottuto’ tramite i canoni più classici di quello che, una volta, veniva definito ‘calcio all’italiana’. Un metodo basato sul sacrificio, sulla sofferenza, su un modo ostico e caparbio di stare in campo. La Svezia sapeva che avrebbe potuto non farcela. Eppure, ha saputo attrarre dalla propria parte tutte le energie più positive e fortunate, come facevamo, in un tempo lontano, proprio noialtri, quando dovevamo affrontare la Germania di Franz Beckenbauer, l’Argentina di Diego Armando Maradona o il Brasile di Paulo Roberto Falcao. La fase è indubbiamente di transizione, ma i talenti non mancherebbero. Manca, invece, un progetto, un’identità precisa, un’idea del calcio basata, come dice proprio l’attuale presidente del Napoli “su un principio di lealtà”.

Ma quale lealtà ci può essere, in un Paese come il nostro? I nostri giovani stanno fuggendo proprio a causa di una mentalità assurda e malata: un cattolicesimo astratto, totalmente sganciato da ogni valore e principio di verità, che ci ha fatto apparire, agli occhi degli svedesi, dei “mediocri attori di teatro”. E’ stata esattamente questa la frase utilizzata dall’allenatore della Svezia, durante la conferenza stampa che ha preceduto la doppia sfida con gli scandinavi. Un modo elegante per non dirci quel che veramente siamo diventati: un popolo di ipocriti dissimulatori e insopportabili ‘cazzàri’.





(16 novembre 2017)

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