di Giancarlo Grassi #Politica twitter@gaiaitaliacom
Mentre le elezioni siciliane veleggiano con tutta calma verso lo spoglio dei voti, con gli esperti di exit poll prima e proiezioni poi (margine di errore fino al 38%!) che vivono il loro minuto di celebrità, uno spoglio che terminerà quando dio voglia, ciò che appare sempre più disperatamente chiaro e preoccupante è che a votare gli Italiani, o buona parte di loro, non vogliono andarci più. Le elezioni siciliane hanno detto che a votare è andato poco più del 46% degli aventi diritto, significa che una percentuale nettamente minoritaria di quel 46% deciderà le sorti anche di quel 53% che a votare non ci è voluto andare.
Ne hanno pieno diritto, chi lo contesta. Si contesta tuttavia la modalità successiva: non vado a votare, m’imbufalisco, sguazzo nel populismo, grido sui social e contribuiscono all’imbarbarimento del panorama politico e all’impudico atteggiarsi a dèi di coloro che sul non-voto speculano (meno voto, meno controllo sul votato=crescita esponenziale del posso farmi i cazzi miei tanto non frega niente a nessuno).
Ho la mia idea politica, che è nota anche a chi mi legge. Non sto contestando chi non vota, cerco di focalizzare la mia e vostra attenzione sui pericoli di un’astensione selvaggia che potrebbe invece tradursi in una utile contestazione della politica e dell’azione politica che esercita, con un massiccio ricorso all’annullamento della scheda elettorale (non alla scheda bianca, che al contrario della scheda nulla non è un voto) così da spingere i signori che della politica si sentono i padroni e la praticano malissimo (critica che muovo all’intero agone istituzionale che va dal PD al M5S passando per tutti i partiti da destra a sinistra) a riconsiderare ciò che fanno, invece di continuare ad imbonire ulteriormente con il poco che dicono.
Personalmente che in Sicilia vinca la Destra di Berlusconi, che vincano il M5S o il PD mi interessa assai poco. Crocetta non ha certo fatto meglio di ciò che farà Musumeci o di ciò che non avrebbe fatto Cancelleri. Temo invece l’astensionismo come protesta che si traduce, necessariamente, in un radicalizzarsi di coloro che votano: perché chi si astiene lo fa dopo avere ragionato rinunciando ad un diritto sacrosanto che rende tale la democrazia, con coscienza. Terribile. Stiamo rinunciando alle nostre libertà, una dopo l’altra, e non ce ne accorgiamo.
E’ un segno molto peggiore di tutti i cattivissimi segni che dalla politica possono arrivare.
(6 novembre 2017)
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