di Emilio Campanella, twitter@gaiaitaliacom
A dispetto dei restauri in corso, e del percorso espositivo appena più breve, è importante ed accurata la nuova mostra proposta da Ferrara Arte, nonostante le enormi difficoltà economiche che hanno imposto tagli drastici anche ai materiali informativi forniti alla stampa che in effetti alla presentazione del 13 ottobre, era in misura decisamente minore in confronto al solito, vuoi, forse, per il nome meno noto, vuoi per le restrizioni organizzative, in una città che ancora risente dei gravi postumi del terremoto di alcuni anni or sono.
Esposizione di grande accuratezza, la prima sull’artista, si consiglia caldamente: per il rigore scientifico, e per l’interesse del pittore stesso. Certo lo scorso anno la manifestazione dedicata a Ludovico Ariosto ed al suo poema era la punta di diamante di molti mesi di intense celebrazioni, mentre questo interessantissimo e dotato artista a cavallo fra sedicesimo e diciassettesimo secolo ha bisogno e merita molto di essere conosciuto; e questo è anche il compito di queste poche righe, quello di sensibilizzare ed esortare ad una visita decisamente consigliabile e di grande soddisfazione, non solo per l’occhio. Ferrarese (1569?-1632), stimato da Guido Reni, e molto tempo dopo, da Charles Nicholas Cochin, da Goethe, da Giuseppe Maria Crespi, dall’Abate Luigi Lanzi e fino a Burkhardt, in Carlo Bononi colpisce l’attenzione per la qualità di una pittura in cui ogni linea è studiata, e questo viene confermato dalla bellezza dei disegni esposti, in cui l’equilibrio delle figure è dosato con attenzione agli effetti drammatici delle scene rappresentate e dove gli impasti cromatici sono sempre molto sapienti.
Il percorso espositivo si prende qualche ardita, coraggiosa, motivata libertà, infatti nella prima sala troviamo la Pietà del 1621-1624, dalla Chiesa delle Stimmate di Ferrara, in deposito temporaneo presso il Palazzo Vescovile. Una tela sorprendente per pathos ed impianto scenico, come un mistero sacro rappresentato, che pure nella grande differenza di concezione, mi ha riportato all’Ecce homo di Moretto da Brescia del 1550. Accanto, nella stessa sala: la Trinità con Cristo morto di Ludovico Carracci, pittore cui Bononi guardò sempre molto, opera del 1592 in prestito dai Musei Vaticani, ed il San Gerolamo nell’atto di sigillare una lettera (1618, Collezione privata), quadro di grande forza espressiva di Giovanni Francesco Barbieri, “il Guercino” , all’epoca, giovane artista ed astro nascente. La mostra tiene conto dei problemi di datazione, considerando l’incertezza sull’anno di nascita del pittore, per cui molte ipotesi rimangono giusto tali, ma comunque, molto interessanti e stimolanti.
Carlo Bononi si mosse fra Venezia, Bologna, Roma, vide, si ispirò e rese proprie le innovazioni stilistiche che incontrò. Alcuni temi attraversano, incrociano, intrecciano questa bella mostra, la prima, meritoriamente dedicata all’artista ferrarese, ribadisco, divisa in nove sale/sezioni. Il sacro ed il profano coesistono con una speciale equilibrata alchimia, infatti il corpo, specialmente maschile, sempre presentato con grande accuratezza, e di grande scultorea bellezza, più spesso discinto, la fa da protagonista, sia esso di figure profane, come anche quello di Cristo come nel Noli me tangere (1618, Collezione privata) in cui il drappo bianco del risorto è mosso da un vento vorticoso e ne scopre il corpo, più che coprirlo, mostrandone la invidiabile muscolatura, ma questo ci ricollega alla tradizione di ribadire la totale umanità di Cristo e la sua altrettanto totale integrità fisica, e non a caso rimando all’illuminante saggio di Leo Steinberg (La sessualità di Cristo). Per il medesimo motivo, si guardi con attenzione anche il Compianto su Cristo morto del 1627 (Bologna, Ritiro S.Pellegrino) luministicamente e drammaturgicamente sorprendente, con quella mano abbandonata e la figura del deposto in primo piano, con la luce di taglio ed il chiaroscuro di un corpo di bellezza muscolarmente tonica memorabile. Non mancano i diversi San Sebastiano, che si confrontano con quello morbido e quasi paffuto di Guido Reni ( 1615-1616, Genova, Musei di Strada Nuova, Palazzo Rosso).
La presenza e la rappresentazione di questo santo ci collega al tema della peste, così preponderante in quegli anni tragici, per svariati motivi collegati alla presenza di eserciti in movimento per la penisola, con il loro seguito di morte, sangue, contagi. Ci sono poi gli angeli ed i Geni delle Arti in cui Carlo Bononi si abbandona alla sensualità profana. Temi, modi, tipi affrontati con grande personalità. E poi si torna al sacro, ad esempio con la curiosa e doppia : Raccolta della manna, Preziosissimo Sangue di Cristo, olio su tavola del 1612, di una fortunata collezione privata. Quadro non grandissimo (144,5×107) ed accurato che mostra la scena biblica. In basso, al centro, incorniciata ( 27×16,5), una piccola anche più accurata figura di Cristo, stante, dal corpo, al solito, perfetto, l’espressione serena, ed il cui costato zampilla un getto di sangue , in un calice posto ai suoi piedi. Occasione questa per notare come Bononi fosse abile ed anche molto abile non solo nei grandi formati, ma anche nei lavori di piccole dimensioni.
Tutti questi temi, molti approfondimenti ed ampi saggi, corredati da illustrazioni di alto livello cromatico, nel catalogo edito da Ferrara Arte, che consiglio caldamente, anche per il prezzo decisamente contenuto, soprattutto in relazione con il valore del volume.
(19 ottobre 2017)
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