di Giancarlo Grassi, twitter@gaaitaliacom
Pierluigi Bersani è rimasto così colpito dal suo scontro in streaming con Roberta Lombardi e Vito Crimi ai tempi in cui i due esponenti del M5S, avendo avuto finalmente la fortuna di posare le loro inutili natiche sull’agognata poltrona parlamentare, erano anche convinti di essere qualcuno e di rivoltare l’Italia, o meglio, aprirla come una scatoletta di tonno, come qualcuno ebbe a dire, da non riuscire più a staccarsi dal M5S. Una specie di sindrome di Stoccolma…
Così lo abbiamo visto, Pierluigi Di Maio unirsi in uno strano e confuso ologramma – nemmeno noi siamo consapevoli fino in fondo di ciò che vediamo – con Luigi Bersani, e tutti insieme appassionatamente unirsi in antigovernativo baccanale in piazza romana dalla quale si gridava al fascismo e al colpo di stato mentre in parlamento secondo le regole parlamentari possibili “giuste” ed “opportune” quando c’è da votare contro il Governo, ma che ora che la Legge elettorale che è il risultato di quel “No” al referendum andava votata, non si confanno più ai regali gusti del M5S e di Art.1-Mdp di Pierluigi Bersani (e di D’Alema).
Come recita un blog ben scritto la legge elettorale non è nient’altro che il frutto del “No” al referendum, e da politici navigati come Bersani, e da straordinari statisti come Luigi Di Maio, ci si aspettava un atteggiamento diverso, ma così è. Bersani, come tutti i comunisti col rolex, ha riscoperto la sua anima bombarola e si è travestito da conservatore, peccato che il conto in banca non lo permetta. Di Maio, con la puzza sotto il naso del nouveau riche, si è travestito da contestatore. Peccato che il conto in banca non lo permetta.
Il “No” al referendum che Italiani ciechi e sordi hanno votato basandosi su interpretazioni demenziali ad uso di share televisivo e di vendita di quotidiani senza nemmeno scomodarsi a leggere il testo di ciò che andavano a votare, ha provocato una legge elettorale che costringe alle coalizioni e a certe soglie di sbarramento per garantire un minimo di governabilità. Lo scandalo gridato da Di Maio e Bersani non ha nulla a che vedere con la legge in sé, ma solo con il fatto che il M5S si è sempre rifiutato di andare in coalizione con chicchessia, e di dialogare con tutti, e che l’Mdp di Bersani, anche in coalizione, rischia di rimanere fuori dal parlamento. Tutta la rabbia viene da lì. Oltre che dall’odio anti-Renzi che sta alla base dell’inesistente progetto politico di entrami gli schieramenti. Per dirla con il fuoruscito dal M5S Sindaco di Parma Federico Pizzarotti: “Una legge elettorale, dato che non c’è, andava fatta”. La dichiarazione a margine di un intervento telefonico a Radio24 nella mattinata del 13 ottobre.
Dunque, battute su vittime e carnefici a parte, troviamo miracolosamente sulla stessa sponda, a giocare a chi grida più forte, l’Art.1-Mdp di Massimo D’Alema – simbolo dell’odiata casta fino a ieri – e i giovinastri strapazzati dalla casta che nella casta hanno trovato realizzazione e congrua sussistenza, perché se proprio devono uscire soldi pubblici per finire nelle tasche della politica che almeno ne possano godere un po’ anche loro, se non altro sotto forma di stipendi.
Citiamo, in chiusura, un passo dell’articolo di Manrico Macilenti dal suo blog già citato poc’anzi.
Mantenere una camera ad inevitabile elezione proporzionale è stata una VOSTRA scelta.
Perpetuare il sistema più farraginoso e lento d’Europa l’avete voluto VOI.
Di fronte a questo le grida di Bersani e Di Maio sono soltanto nebbia. Del resto essi, insieme, sono la prova che dio li fa poi li mescola. A quel punto meglio una partita a carte.
(13 ottobre 2017)
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