di Vittorio Lussana, twitter@vittoriolussana
La posizione della Giunta regionale del Veneto, che ha sollevato un conflitto di attribuzione innanzi alla Corte costituzionale contro il decreto varato dal Governo sulle vaccinazioni, rispecchia il contesto generale di un Paese in cui ognuno, su qualsiasi materia, ritiene doveroso “aprire bocca e darle fiato”. E’ vero che, secondo il principio di sussidiarietà, l’ente Regione e lo Stato centrale condividono congiuntamente la competenza in materia sanitaria. Ma è anche vero che lo Stato mantiene una funzione d’indirizzo generale che deve valere per tutto il territorio nazionale, soprattutto nelle Regioni a Statuto ordinario come il Veneto. Ma a prescindere dalla questione giuridica, in casi del genere è la scienza medica quella più competente a giudicare necessario o meno un provvedimento sanitario. In particolare, quando si tratta di una decisione di carattere collettivo. Tra l’altro, proprio il Veneto risulta al di sotto di quella soglia del 95% di bambini vaccinati che l’Organizzazione mondiale della sanità considera ‘soglia fondamentale’ al fine di scongiurare ogni tipo di epidemia nelle scuole elementari o per l’infanzia; in secondo luogo, se la materia sanitaria fosse totalmente di competenza degli enti locali non esisterebbe nemmeno la necessità di prevedere un ministero della Sanità in quanto organo esecutivo; in terzo luogo, il ‘precedente’ di un’istituzione locale che si considera svincolata da ogni obbligo nei confronti di una norma nazionale potrebbe rappresentare un pericolo per l’unità organizzativa e politica dello Stato. In ogni caso, non è la procedura di contestazione o d’impugnazione in sé quel che stiamo ponendo in discussione, ma il contesto in cui l’iniziativa è stata presa, che riguarda molto da vicino la salute di nostri figli e il pericolo che si diffondano patologie ‘fuori controllo’. Non si dovrebbe fare propaganda politica su questioni di questo genere, poiché si rischiano interpretazioni strumentali in una materia assai delicata. Né si dovrebbero considerare prioritarie alcune convinzioni totalmente basate sul ‘sospetto’, o imperniate attorno a singoli casi specifici, non sempre suffragati da prove scientifiche incontrovertibili. L’eccezione, ovviamente, esiste in tutti i campi, anche in quelli scientifici. Ma ciò non dovrebbe essere contrapposto a un principio generale.
Tutto questo ha dimostrato il profondo provincialismo della Lega Nord, che proprio non riesce a rendersi conto di proporre una concezione ‘chiusa’ e utilitaristica di società, come se il resto del mondo non esistesse, come se fosse possibile far ripiombare un intero ‘pezzo’ del Paese indietro di 70 anni. Si tratta, cioè, di un localismo privo di princìpi: una forma di qualunquismo discendente da un materialismo totalmente imperniato sul mero possesso delle cose, schiavo di quella stessa globalizzazione ‘feticista’ e alienata che, a parole, si afferma di voler combattere. La contraddizione è ormai palese per la maggior parte degli osservatori: non siamo di fronte a una forza che propugna un federalismo liberale e individualista, bensì a una parte del Paese smarritasi all’interno di una concezione piccolo borghese incapace di valutare alcun aspetto sentimentale, spirituale o valoriale all’interno della nostra società. Il ‘leghismo padano’ non è più un fenomeno autonomista, ma la malattia profonda di un’Italia settentrionale che si sta immergendo completamente in una visione speculativa dei rapporti sociali, come se fosse possibile contrattualizzare ogni rapporto, come se vivessimo perennemente all’interno di un centro commerciale, anche quando si viene messi di fronte alla salute dei nostri figli, o al pericolo che possa ‘riattizzarsi’ quell’atavico problema di mortalità infantile combattuto dall’intero mondo medico-scientifico italiano. Insomma, anziché andare avanti, questi qui vogliono tornare indietro, nostalgici di non si sa bene cosa o di chi, ‘sfigurati’ da un cattolicesimo ‘ritualista’ ormai ‘segmentato’, incapace di fornire un significato complessivo innanzi al miracolo del mondo e della sua umanità più profonda. Un nord di cui io stesso sono figlio, ma che proprio non riesco più a riconoscere nella sua rozza superficialità.
(7 settembre 2017)
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