di Daniele Santi, twitter@gaiaitaliacom
Di immigrati si parla molto; direi che se ne parla troppo e solo per approfittare di loro. Chi ne parla per incolparli, chi per difenderli, chi per accoglierli, chi per riportarli a casa loro, chi per approfittarne, chi per trombarseli, chi per sentirsi buono, chi per sentirsi fascista. Gli immigrati sono ciò che coloro che li odiano, amano, vogliono, che non li vogliono, che coloro ai quali stanno simpatici o antipatici, decidono che essi siano. Non sono esseri umani, sono capi espiatori. Non hanno una identità loro, precisa, non hanno una storia, non hanno una umanità. L’unica cosa che possiedono è ciò che hanno lasciato e ciò che diventano per gli altri: un luogo di lavoro, un letto caldo, un bon baise, un po’ di compagnia, due chiacchiere, l’ennesimo negher da gettare a mare. Essi non esistono se non in funzione di ciò che pensano di loro coloro che li accolgono o no. E infatti quando non c’è il problema dell’accoglienza diventano invisibili. Non hanno diritti. Non hanno dignità. Sono leggende metropolitane: tutto a loro, a noi niente. Mangiano gratis e noi no. Vivono in alberghi a 5 stelle e noi paghiamo le stanze per loro. E via leggendemtropolitaneggiando.
L’esasperata visibilità del fenomeno migratorio è dovuta a diversi fattori: la paura, in primo luogo; l’ignoranza, soprattutto in Italia: l’ignoranza delle lingue; l’altro visto come nemico (negli anni ’70 lo stesso odio riservato ora agli immigrati era diretto ai meridionali); uno squallore da borghese piccolo piccolo tutto italiano, creato da italiani che vogliono dimenticare a tutti i costi non solo le rate del mutuo che gli fa fingere una ricchezza che non possiedono e che permette loro di andare in vacanza alle Maldive per potersi lamentare di non trovarci i bucatini all’amatriciana, ma anche di rimanere, profondamente, geneticamente e culturalmente, figli di migranti.
Per spiegare i numeri di un fenomeno gonfiato a dismisura da media e politica, l’uno al servizio dell’altra e viceversa, prendiamo in prestito uno stralcio d’articolo degli amici di Periodico Italiano Magazine – mensile online la cui lettura consigliamo – a firma di Serena Di Giovanni.
Secondo l’Istat, in Italia vi sono circa 200 nazionalità diverse: nella metà dei casi si tratta di cittadini europei (oltre 2,6 milioni). La cittadinanza maggiormente rappresentata è quella rumena (23,2%), seguita da quella albanese (8,9%). Un’altra parte importante è costituita proprio dalle popolazioni provenienti dagli Stati africani, rappresentati per un ulteriore 20,7%: prevalentemente cittadini di Paesi dell’Africa settentrionale (12,9%) e occidentale (6,6%), particolarmente del Marocco e dell’Egitto. Più o meno la stessa quota sul totale (20,2%) spetta ai cittadini dei Paesi asiatici, tra cui molti cinesi. In aumento, quest’anno, anche i cittadini di diversi Paesi africani, principalmente la Nigeria (+14,6%, 88.533) e il Senegal (+3,1%, 101.207). Incrementi elevati si registrano anche per le nazionalità africane meno rappresentate, in particolare quelle del Gambia (+71,9%, 13.780) e del Mali (+42,4%, 14.768). Si tratta, prevalentemente, di profughi provenienti via mare e richiedenti protezione umanitaria. (…) Gli stranieri residenti in Italia di cui abbiamo traccia sono di meno degli italiani all’estero e rappresentano circa l’8% della popolazione totale (…) 5 milioni 29 mila (8,3% della popolazione totale), in lievissimo aumento rispetto all’anno precedente… gli stranieri concorrono per l’8,7% alla produzione del Pil, hanno innalzato di quasi 4 punti percentuali la crescita cumulata negli anni di espansione che hanno preceduto la crisi e, durante quest’ultima, ne hanno limitato la decrescita di 3 punti… Leggete il resto qui
La spaventosa visibilità del fenomeno migratorio in Italia, i numeri sono molto più bassi di quelli che si raccontano e fanno comodo per tenere in tensione l’opinione pubblica che, ormai, non pensa che attraverso Facebook e Twitter, è dovuta principalmente e quasi esclusivamente alla cronica disorganizzazione del nostro paese che costringe i migranti per le strade anziché guidarli verso una convivenza che per forza di cose deve essere civile. Piaccia o no a loro e a noi. LI sbattiamo per la strade e la chiamiamo integrazione. Per gli oppositori sono gli immigrati che vivono per le strade perché incapaci di integrarsi.
Anche per questioni legate alla mia professione, conosco le storie di diversi di loro. Sono gente che viene dall’Africa subsahariana, dal Corno d’Africa; diversi tra loro sono oppositori politici – oppositori reali. Tutti sono passati per la Libia e per le mani degli aguzzini che in quel paese operano: ne ho sentite tante di storie. Di torture, di violenze sessuali, di botte da orbi, di obblighi a partire quando loro, distrutti nel corpo e nello spirito, di partire non ne volevano sapere più. Solo della traversata quasi nessuno parla. Un motivo ci sarà. Io non lo voglio sapere. Molti di loro quando sono partiti fuggivano da situazioni di guerra, guerriglia e pericolo per la loro vita. Uno di loro è diventato un amico a cui voglio bene: ha impiegato 11 mesi per arrivare in Italia. Ripeto qui la battuta che ho fatto a lui: tanto tempo perso per niente. Ha riso come un matto. Anche se non c’è niente da ridere.
Durante i numerosi viaggi in Africa che ho fatto per piacere, ho sempre cercato di dissuadere coloro che mi parlavano dell’Italia come di una specie di paradiso terrestre raccontando la dura realtà d’ignoranza e grettezza che contraddistingue il mio paese e troppi dei suoi abitanti: non mi hanno creduto mai. Perché quando stai all’inferno qualsiasi possibile inferno ti sembra migliore di quello in cui stai. Il mio amico Miracle, nigeriano musulmano di 40anni, è stato l’unico che mi ha detto: “Non vivrei mai in questo paese. Siete sempre soli. Da noi nessuno è solo. Mai”. Viaggiavamo insieme da Roma a Milano e anche se l’affermazione fosse falsa dovrebbe farci riflettere. Ma non pretendo tanto.
Ora assistiamo ad una specie di guerriglia che sembra non riguardarci, combattuta per interessi che non conosciamo da entità governative, ultra-governative e non governative basati su interessi che non conosciamo, per ragioni umanitarie e non, per equilibri politici e geopolitici, per il solito schifoso gioco che vede contrapposti dominatori e dominati. Sono state scoperte [sic] ad uso mediatico le porcate perpetrate dagli aguzzini libici, venute alla luce le storie di donne violentate di fronte ai mariti, ai loro figli, di giovani stuprati, torturati e caricati a forza su gommoni che altro non sono che l’anticamera dell’annegamento, poi arriva la notizia – battuta per quattro ore e poi scomparsa dalle cronache – che circa un centinaio – è il numero dichiarato – di giovani provenienti dal Corno d’Africa, età media 16anni, sono stati gettati in mare e lasciati annegare al largo delle coste dello Yemen, paese dove presumibilmente sarebbero morti di colera, dopo che erano fuggiti dai loro paesi per avere una vita migliore.
Non ho nessuna intenzione di scendere nel pietismo: mi fa schifo chi lo pratica e mi fa schifo l’uso retorico che del dolore altrui si fa per sentirsi ed apparire buoni, ciò che voglio dire è che tutto ciò che accade attorno ai migranti, ai rifugiati, ai negher, alla politica razzista, buonista o realista che li usa e non li vede. Voglio solo dire che tutta questa faccenda di migranti, aguzzini e Ong mi puzza tanto di genocidio. Magari inconsapevole. Ma sa tanto di roba programmata.
(11 agosto 2017)
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