
di Il Capo
Bisogna iniziare con una premessa: fa abbastanza tristezza vedere come taluni (pochi, ma troppi) sostenitori del PD e di Matteo Renzi reagiscano, anche di fronte ad innocenti e costruttive critiche all’operato del segretario del PD, con lo stesso livore superficiale ed ignorante degli esponenti del M5S che trollano con libertà da un web all’altro, da un profilo Facebook ad un altro. Fa tristezza perché se si perde lo spirito critico, anche nei confronti delle persone che stimiamo, finiamo prima o poi per diventare degli yes-men che non servono né al capo, né alla politica, né al partito che sosteniamo. E finiamo per non servire nemmeno a noi stessi.
L’8 luglio scorso abbiamo pubblicato un articolo a firma Daniele Santi intitolato “Insomma qualsiasi cosa dica non va bene, o della comunicazione di Matteo Renzi” nel quale il nostro collaboratore, dopo un prologo nel quale criticava la svolta comunicativa del PD (durissimamente criticata anche dai Giovani Democratici di Milano, come vedremo più avanti), si soffermava, con la sua analisi, sulla ghiotta occasione offerta da Renzi ai quotidiani ed ai giornalisti (che sempre da queste pagine abbiamo criticato), principale partito d’opposizione a Matteo Renzi: non al PD, proprio a Renzi persona.
L’articolo di Daniele Santi lo ripubblichiamo di seguito, per dare un’organicità al nostro discorso ed un’altra occasione a chi non lo ha voluto leggere.
Va detto perché va detto: della “nuova” comunicazione del PD non ci piace nulla, la riteniamo facilona, poco incline all’approfondimento, molto legata allo slogan e poco “intelligente” rispetto alla struttura “estetica” del post sul social. Ci pare troppo una comunicazione mutuata da quella cialtronesca del M5Sche in quanto a cialtroneria non hanno nulla da imparare. Insomma se PD e M5S sono differenti questo deve “venir fuori” anche dal tipo di comunicazione al quale ci si affida. Sicuramente Matteo Renzi ed il suo staff sapranno il fatto loro, ma prima di entrare nel merito di questo pezzo doveva essere detto come la pensiamo. E la chiudiamo qua.
Matteo Renzi ha lanciato l’ennesima provocazione, certo che le sue parole avrebbero avuto l’eco desiderata, copiando lo slogan salvinico “aiutarli a casa loro” svuotato del suo significato razzista e riempiendolo di un nuovo valore: “l’accoglienza deve avere un limite e quel limite è stato raggiunto”. Mentre il razzismo di Salvini veniva tollerato da tutti ed esaltato dai giornali fedeli alla linea dell’insulsa destra berlusconiana – quella che va da Casapound a Forza Italia passando per la Lega Nord di Matteo Salvini – hanno naturalmente ritenuto irricevibile lo stesso slogan di Matteo Renzi “svuotato” dei valori salviniani. Cos’è successo?
Nulla in realtà: i quotidiani che del comunismo col rolex e dei politici coi cappoti da migliaia di euro, o delle deputate col tailleur firmato, di mestiere fanno Gli Stupiti. Matteo Renzi ha dichiarato ciò che c’era da dichiarare – e cioè che di fronte alle prese per i fondelli dell’Europa non ci possiamo più permettere di ospitare tutti coloro che arrivano? Allora, per i comunisti chic di Repubblica, de La Stampa, dell’Huffington Post che dedica un numero deprecabile di parole al negozio online di Grillo e dei suoi insulsi gadget, Renzi va a destra. Cosa ci sia di nuovo non lo sappiamo, perché per tutti costoro Matteo Renzi è sempre stato uno di destra.
Insomma tra la chiesa comunista che si è opposta a quella di Roma – alla quale il buon Scalfari sta dedicando un numero insopportabile di articoli, forse per ingraziarsi l’aldilà – e quella di Roma opposta ai comunisti, è nata una sinistra troppobuonista della quale giornali che si credono classe dirigente sono i portabandiera. Tutto ciò che esula dal troppobuonismo sinistroide col rolex è “di destra”. Ergo Renzi è di destra. E dire che gli Italiani non ne possono più non è dire una verità, è spostarsi a destra. Loro, i giornali che hanno fatto campagna contro il referendum, invece sono di sinistra. Anche se hanno riportato la destra in auge.
Posto che Matteo Renzi è uomo politico dalle mille risorse che nulla dice a caso; posto che ha dimostrato di essere uomo che quando perde si toglie dai piedi, siamo certi che saprà dare seguito alla sua boutade di destra [sic], con una serie di affermazioni atte a spiegare per filo e per segno la strategia del suo partito e la linea che il PD suggerirà al governo per gestire un più che necessario cambio di rotta rispetto all’accoglienza degli immigrati: non è più tollerabile vederli vivere per le strade, non perché ci infastidiscano, ma perché senza casa diventiamo come animali. Se siamo fortunati a non esserlo già, delle bestie…
Il senso di tutto questo è dunque il seguente. Se una frase è utilizzata da tal Salvini per aggiungere benzina al fuoco dell’intolleranza, del razzismo, della xenofobia e del via i negher è tollerabile perché l’infausta espressione esce dalla bocca di un barbaro; se la stessa frase è usata, svuotata da tutti i suoi contenuti razzisti, da un leader che gli intellettuali [sic] di sinistra considerano di sinistra, allora la faccenda cambia. Lo slogan diventa intollerabile, fascista, inaccettabile. Ergo Renzi diventa fascista. Come se il popolo dei fascisti, fascisti sul serio, non fosse giù superaffollato in questo paese nel quale più si è a destra più ci si sente di sinistra, soprattutto tra coloro che si considerano il Gotha dell’Intellettualismo un po’ squallido detto da cesso con i rubinetti d’oro… Che Google ci perdoni.
Questa durissima critica nei confronti dell’establishment giornalettistico che fa capo al gruppo L’Espresso e che vede Renzi come il fumo negli occhi, è stata scambiata per un attacco a Renzi stesso – e se l’articolo lo avessi scritto io l’attacco ci sarebbe stato, ma succede che sulle pagine di questo giornalucolo del quale mi onoro di essere editore a mie spese ognuno è libero di scrivere quello che vuole e senza censure – ed omaggiato dalla sequenza di commenti su Facebook che mi prendo la briga di farvi rileggere, cancellandone gli autori e i loro avatar.
La ventina di commenti che vi proponiamo sono solo una piccola parte di quelli lasciati sulla nostra pagina Facebook dai lettori – a proposito, grazie! Siete sempre di più. E potrete notare come solo uno (uno!) degli utenti si sia preso la briga di leggere l’articolo e di commentare poi ciò che Daniele Santi scriveva, e non quello che si supponeva avesse scritto o si vorrebbe avere letto. Si evince altresì che peggio si scrive e meno si capisce, e le due cose vanno tristemente a spaventosamente a braccetto. C’è poco da esserne fieri.
Ora vorremmo passare alle tante domande retoriche che ci passano per la testa, la prima delle quali è: cosa c’è di male a criticare una maniera di comunicare che sembra mirata ad un ulteriore semplificazione del messaggio politico – già sufficientemente e disperatamente semplificato – per giungere ad orecchie sorde per incultura più che per disturbi all’udito? Cosa c’è di male ad essere simpatizzanti del PD – e Daniele Santi lo è – ed a cercare uno scambio dialettico rispetto alle azioni che il partito che si vota mette in campo per vincere le elezioni? Non sarebbe meglio tenere un po’ sotto controllo l’intolleranza generalizzata ed un po’ fascistella di tutti coloro che devono ringraziare Zuckerberg perché senza di lui non avrebbero avuto una vita da far conoscere – e sarebbe stato assai meglio, in moltissimi casi – insieme alla tendenza a riconoscere un nuovo messia in chiunque pronunci un frase che ci colpisce emotivamente più che razionalmente?
Persino i Giovani Democratici di Milano hanno qualcosa da dire sui nuovi asset comunicativi del nuovo PD di Matteo Renzi e non ci vanno giù leggeri, come dimostra il comunicato pubblicato proprio l’8 luglio scorso e che riportiamo di seguito.
Alla Segreteria Nazionale del Partito Democratico,
al Segretario Nazionale Matteo Renzi,
questa lettera nasce dalle perplessità e dall’imbarazzo di tanti militanti, rappresentanti del partito, amministratori locali, che non possono più stare in silenzio di fronte ad alcuni post apparsi sulle pagine e sugli account ufficiali del nostro Partito nelle ultime settimane. La misura è ormai colma.
Siamo consapevoli del ruolo significativo che la comunicazione politica riveste specialmente in una fase come questa, in cui la competizione aspra fra le forze politiche e l’urgenza di ottenere risultati certi in tempi sempre più brevi ci consegnano ad una condizione di perenne campagna elettorale. Allo stesso modo ci rendiamo anche conto del fatto che il nostro partito si è mosso con un certo ritardo nell’affrontare il nodo della comunicazione digitale.
Lo sappiamo e lo abbiamo sottolineato più volte, proprio perché siamo particolarmente sensibili al tema facendo parte di una generazione che si interfaccia quotidianamente con i social network. Tuttavia troviamo inaccettabile che dichiarazioni di un certo tenore provengano dai nostri canali ufficiali, svilendo il senso e la complessità dei temi trattati.
Per questo chiediamo che il Segretario e la sua Segreteria intervengano sostituendo dall’incarico coloro i quali si occupano di gestire la comunicazione nazionale del Partito, la cui identità peraltro non è mai stata chiarita. Auspichiamo che questo gesto possa essere un segnale per l’inizio di una fase nuova e diversa rispetto alla strategia comunicativa adottata sino ad oggi, che domandiamo come forma di rispetto verso l’impegno e la fatica di tanti militanti che non hanno più intenzione di giustificare errori di questo calibro.
Chiediamo inoltre che venga individuato un responsabile politico della comunicazione, all’interno della segreteria nazionale con una delega specifica, che assuma il compito di coordinare le strategie comunicative future.
Forse non è un caso il fatto che tutti i fenomeni politici ai quali assistiamo, in Europa e nel mondo, siano analizzabili considerandone i linguaggi. E proprio il percorso che ha affrontato il Partito Democratico, a partire dalla sua fondazione, è visibile nell’evolversi dei suoi linguaggi che ne hanno segnato la storia e ne segnano anche le contraddizioni. Non è un caso perché il linguaggio che si utilizza e le parole che si propongono non sono uno strumento morto o neutro. Dietro al linguaggio della politica si cela la visione del mondo che ne anima la forza, gli ideali e la passione: dentro i termini di questo linguaggio nasce la speranza per un futuro migliore.
Per recuperare il ritardo rispetto ad altre forze politiche però, si è deciso di affidare a una gestione sgangherata la comunicazione sui social network, diffondendo messaggi ambigui e talvolta persino offensivi. Se non è facile capire quale debba essere lo scopo di questa condotta, purtroppo non è difficile prevederne gli effetti. Non solo, infatti, si frustra lo sforzo dei tanti che già sono attivi e si trovano in imbarazzo per quello che leggono – spesso siamo costretti a prendere le distanze se non addirittura a dissociarci dalle dichiarazioni ufficiali del nostro partito e dei suoi dirigenti nazionali – ma si palesa un tentativo dilettantesco di inseguimento, nella retorica e nei modi di comunicare, di quelli che sono da sempre i nostri avversari politici.
Occorre aggiungere che dietro alle parole, inevitabilmente, si celano delle scelte. È giunto il momento di fare delle scelte chiare sui temi sensibili, senza dare l’impressione di essere in balia del vento elettorale più favorevole. Perché non è solo una questione di linguaggio e di comunicazione: bisogna rendersi conto che un percorso politico è determinato da un popolo, cioè da un’unione volontaria di individui che si riconoscono in visioni e valori comuni che non possono essere sviliti dal modo di comunicarli. La priorità di chi dirige quel popolo organizzato è di capirne e promuoverne le vitalità, interpretarne le speranze e comprenderne le inquietudini. Non esiste comunicazione efficace che non abbia prima fatto i conti con questo problema.
E’ necessario un segnale di netta discontinuità nella gestione della comunicazione del Partito Democratico.
La pretendiamo come forma di rispetto verso il nostro impegno quotidiano e come doverosa assunzione di responsabilità di chi abbiamo eletto per rappresentarci negli organi nazionali. Domandiamo una cosa semplice: di poterci ritrovare in quello che raccontiamo, a noi stessi e a chi non ci conosce, di valorizzare la nostra ricchezza e ascoltare tutte le critiche, di essere davvero rappresentati sui social network e non doverci mai più vergognare di leggere nelle nostre parole ufficiali le parole dei nostri avversari politici.
Come vedete, egregi signori dell’insulto online e dell’incomprensione eletta a mandala, il nostro collaboratore non è l’unico a criticare, seppur velatamente, i contenuti della comunicazione del PD. I Giovani Democratici di Milano, rivolgendosi soltanto agli organi dirigenti del loro partito e non prendendo posizione sulle reazioni dell’establishment politico-giornalistico che si oppone con ferocia a Matteo Renzi (e non al partito politico del quale è Segretario), usano la mano pesante e le dicono proprio come ritengano vadano dette.
La questione, in chiusura, è molto semplice: sempre di più ci sarà chi assumerà la sua particola comunicativa senza assumersi la responsabilità di sapere di cosa è fatta e sarà pronto a criticare ferocemente chi rifiuta di prenderla senza almeno averne conosciuto la composizione e fermandosi a riflettere dopo averne discusso. Sempre più un popolo rincretinito dalla febbre da social, digito ergo penso, i cui danni disconosce, si impermealizzerà alle critiche esterne rincoglionito dall’algoritmo che lo circonda, online e solo online, soltanto di gente che la pensa come lui per bersagliarlo con le offerte pubblicitarie che ritiene più consone.
E sarà proprio grazie al loro livore, alla loro rabbia, alla loro incultura che costoro saranno dominati due volte: dalla politica che sui loro dolori di pancia conquisterà il potere e dal social network che farà ancora più soldi sui loro profili sui quali, sempre più incautamente, i signori del post di pancia scrivono anche dei loro problemi intestinali. Così va il mondo.
Scriviamo e pubblichiamo consapevoli che un’altra scarica di insulti ci sommergerà, ma del resto non è che noi di questo giornalucolo – come ci chiamano i colti [sic] e i troll – siamo nati per stare zitti. E a conferma delle nostre parole postiamo i primi tre post di risposta al nostro articolo…
(10 luglio 2017)
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