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“Giustappunto!”, di Vittorio Lussana: A Cardiff, la Juve ha rappresentato l’Italia di oggi: più vuota che bella

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di Vittorio Lussana   twitter@vittoriolussana

 

 

 

 

 

Ricordo la finale della Coppa Rimet 1970, giocata a Città del Messico tra Brasile e Italia. Si trattava del secondo incontro di calcio a cui assistevo in vita mia, dopo la mitica semifinale Italia-Germania 4 a 3 durante la quale fui costretto ad alzarmi dal letto, per riuscire a capire cosa stesse accadendo in sala di pranzo, dato che mio padre e mia madre urlavano, gridavano e piangevano come se stessero assistendo a uno psicodramma via satellite. Rinfrancato da quel risultato notturno, decisi di assistere anch’io alla finalissima contro il Brasile di Pelè: uno ‘squadrone’. Proprio la mitica ‘perla nera’, al primo cross in area sovrastò Tarcisio Burgnich e ci inflisse la rete dell’1 a 0. Poco più tardi, una strana azione in contropiede del bergamasco Angelo Domenghini, a cui si aggiunsero un trafelato Gigi Riva e un lestissimo Roberto Boninsegna, rimise le cose a posto. Così si chiuse il primo tempo di quell’incontro, che sembrava darci la speranza di un’Italia che, come accaduto nella meravigliosa notte di combattimento contro i ‘teutonici’, avrebbe comunque dato del filo da torcere ai giocolieri brasiliani. Invece, nel secondo tempo, i nostri ‘azzurri’ cedettero di schianto. Gerson, Jairzinho e Carlos Alberto praticamente rimisero i ‘nostri’ sull’aereo per Ciampino, con in mano il classico messaggio delle chewing gum di allora: “Riprova, sarai più fortunato”. Ebbene, alcune sere fa ho avuto la stessa identica impressione assistendo alla finale di Champion’s League tra Real Madrid e Juventus: un buon primo tempo e un secondo in cui la compagine bianconera si è lasciata trattare come una ‘outsider’, giunta in finale quasi per caso. Ma la Juve non era affatto al primo tentativo dopo i successi ‘archeologici’ dell’Italia di Vittorio Pozzo: al contrario, stava giocando la sua nona finale di Coppa dei Campioni. Un appuntamento che, il più delle volte, la squadra torinese proprio non riesce a gestire. Scrivo queste righe non con l’animo compiaciuto di un ‘romanista’ che ha goduto delle disgrazie altrui, bensì in quanto sostenitore di tutte le squadre italiane allorquando si ritrovano impegnate in una competizione internazionale. La Juventus ha un blasone unico. Ma molti dei risultati da essa ottenuti si basano sul proprio ‘dominio interno’: 33 scudetti e 12 Coppe Italia, rispetto alle pochissime Coppe Uefa (3), alle altrettanto poche Coppe dei Campioni (solo 2 vittorie su 9 finali giocate) e una Coppa delle Coppe, ottenuta negli anni ’80 per riprendersi psicologicamente dallo scudetto vinto, per una volta, dalla Roma di Paulo Roberto Falcao. Un albo d’oro che dimostra come la Juventus, in fondo, rappresenti perfettamente quel provincialismo sabaudo che ci ha sempre procurato vere e proprie sciagure, politiche e militari. Oltre a ciò, proprio non riusciamo a ricordare una partita importante, della Juventus o dall’Italia, vinta con in campo calciatori quali Giorgio Chiellini e Claudio Marchisio: il primo è un difensore assai più adatto a una squadra di centro classifica abituata a difendersi facendo le ‘barricate’; il secondo, pur denotando la capacità di portare ordine a centrocampo, raramente ha saputo essere decisivo come il Fabio Capello che espugnò lo stadio di Wembely nel 1973, o il Marco Tardelli trionfatore in Spagna nel 1982. Eppure, fior di allenatori li schierano regolarmente in campo, probabilmente per motivi di pura ‘affidabilità tattica’. Nel 2006, quando vincemmo i mondiali in Germania, Chiellini e Marchisio non c’erano. Dopo il loro avvento, non abbiamo vinto più nulla: sarà forse un caso? Si tratta di una coincidenza maliziosa? Sia come sia, siamo sinceramente dispiaciuti per i 4 ‘ceffoni’ rimediati dalla Juventus a Cardiff. Anche perché, due di questi sono stati inflitti alla ‘Vecchia Signora’ da Cristiano Ronaldo: l’ennesimo calciatore fisicamente forte, ma tecnicamente limitato. Il calcio di oggi è così: propone continuamente misteri e personaggi inspiegabili. Uno sport che, probabilmente, non intende concedere più nulla alla fantasia o ai talenti ‘tecnici’ quali, per esempio, Bruno Conti e Roberto Baggio. E infatti, l’ultimo campionato del mondo lo abbiamo vinto con una squadra priva di grandi nomi. A parte quello di Francesco Totti, che in quella competizione segnò solamente un calcio di rigore contro l’Australia. Insomma, un calcio troppo veloce e agonistico, che ‘appiattisce’ i valori tecnici e i talenti artistici: l’esatta fotografia della nostra società di oggi, più vuota che bella.

 

 

(8 giugno 2017)

 




 

 

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