di Emilio Campanella
Ci eravamo lasciati qualche giorno fa, alla Chiesa della Pietà di Venezia, e qui ci ritroviamo per andare alla scoperta, negli spazi della storica istituzione, di interessanti frammenti di Biennale. La Mongolia che si raggiunge entrando nel giardino, presenta un lavoro di forte presenza, contro la guerra, Il titolo è: Lost in Tngri. Tre artisti contribuiscono con le loro opere di scultura ed in video. In un’altra parte dell’edificio, la bella installazione di Eve Ariza: Murmuri, per il padiglione di Andorra. Una stanza suggestivamente rivestita di piccole coppe di terracotta dal lato concavo, un ambiente caldo, avvolgente, come il colore dei piccoli oggetti, illuminato con molta cura. Un’idea semplice, ma di grande effetto. Al secondo piano, che si raggiunge con l’ascensore del palazzo che ora è anche una casa per vacanze, consigliabilissima, ma sempre, comprensibilmente, presa d’assalto, e che è stata importantissima, nei secoli passati, per aiutare fanciulle: “sole, perdute e abbandonate” ed instradarle molto spesso alla conoscenza della musica, nel settecento, sotto la guida sapiente di Antonio Vivaldi che di alcune fece delle valenti musiciste, comunque continuando fino ed oltre l’inizio del ventesimo secolo, con la sua opera umanitaria. Al secondo piano è ospitato il padiglione dello Zimbabwe. Il titolo è: Deconstructing Boundaries, Exploring ideas of Belonging. Gli artisti che contribuiscono con il loro interessantissimo lavoro, sono: Sylvester Mubayi, Charles Bhebe, Dana Whabira, Admire Kamudzngerere. Notevolissimo.
All’inizio di via Garibaldi, a sorpresa, si scopre una porta aperta, ed un’esposizione inaspettata. In uno spazio privato, un bellissimo appartamento su due piani, in quell’edificio notissimo , quasi triangolare, con una facciata strettissima sul bacino (Palazzo Caboto), una mostra retrospettiva dedicata al coreano Seung-taek Lee (1932) con opere che vanno dagli anni sessanta agli anni ottanta e che rivelano una personalità di grande spessore, oltre ad un’attualità non da poco. La manifestazione è presentata dalla Galleria Hyundai e Lévy Gorvy, e sarà aperta soltanto fino al 28 Giugno. Continuando lungo la riva, si arriva ai Giardini della Marinaressa dove sotto gli alberi ci si imbatte in belle ragazze in costume da bagno, sono le sculture colorate ed un po’ iper-realiste di Carole A. Feuerman. Sono molto distanti, sussiegose, si direbbe, fascinose d’antan, fra anni trenta ed anni cinquanta. Più avanti il padiglione della Repubblica delle Seychelles, anche questo en plein air, popolato di sculture policrome, come una folla di testuggini, e soprattutto un grande rinoceronte metallico che fa capolino da una siepe, e si vede bene anche passando in battello. Proprio accanto, nella Palazzina Canonica, il complesso ed intrigante progetto: Leviathan, una narrazione episodica di Shezad Dawood, che si estende in altri due edifici che danno sul giardino, ed anche alla Fortuny Factory della Giudecca. A conclusione di questo piccolo viaggio, percorrendo il bel viale ombroso dei Giardini e ritrovandosi in via Garibaldi, ma al capo opposto, si continua quando il canale è nuovamente scoperto ( per chi non lo sapesse, la strada è un rio terà, come si dice qui, un canale coperto), si prende a sinistra, si passa il ponte e si arriva a S.Maria Ausiliatrice dove si trova l’evento collaterale della Biennale: Wales in Venice, James Tichard: Music for the gift, curioso e stimolante lavoro multimediale, visivo e sonoro.
(4 giugno 2017)
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