di Redazione
Dunque il Teatro Eliseo chiude. E’ il terzo teatro a chiudere i battenti a Roma in poco tempo: quella Roma che la giunta di Virginia Raggi la Favolosa doveva rivoltare come un calzino trasformandola nel paradiso terreste nella Terra a 5 Stelle. E’ evidente che non si può imputare alla poveraccia che siede sulla poltronissima capitolina la chiusura del Teatro Eliseo, già ampiamente annunciata e che soltanto un altro avvezzo a sentirsi il salvatore della Patria, questo paese è pieno di salvatori della Patria, come Luca Barbareschi poteva illudersi di evitare. I dettagli della questione sono stati resi noti in una conferenza stampa della quale vi daremo notizia nelle prossime ore, di fatto però i contorni della vicenda sono noti. In un comunicato affidato alle agenzie Barbareschi aveva annunciato che “A causa dell’inerzia delle istituzioni e delle promesse eluse” il Teatro Eliseo chiude. Aveva poi aggiunto il già deputato del Popolo delle Libertà che: “Se non saranno rispettati i patti, tra due o tre giorni il Teatro Eliseo chiude, anche se fa il tutto esaurito”. Il monito era diretto al ministro Franceschini che aveva replicato: “So del coraggio e della passione che Barbareschi ha messo nel rilancio dell’Eliseo e apprezzo anche la qualità della programmazione. Conosco anche le difficoltà economiche del Teatro ma non sono dotato di bacchetta magica (…) posso operare solo nell’ambito della legge e delle regole del Fus. Dentro queste regole, e soltanto dentro queste regole, farò il possibile, come mi auguro si impegnino a fare gli altri livelli istituzionali e soprattutto quei privati che hanno a cuore il futuro di un grande teatro romano”.
Insomma il solito giochetto all’Italiana: quello dello scaricabarile. Fondi che non arrivano o che arrivano e non si sa dove finiscono, buchi neri che inghiottono il denaro, programmazioni discutibili ed attenzione soltanto alle grandi realtà che minacciano chiusure, poi riaprono, poi parlano di tutti esaurito, e quindi di gente che a teatro non ci va; produzioni milionarie che replicano dieci volte, milioni di euro alla Lirica per un mese di prove e sette repliche in tre città e via di questo passo.
A fianco di tutto questo “chiudere non chiudere, colpa di Franceschini, no di Raggi, le istituzioni non mantengono, sì che manteniamo siete voi che sprecate”, ci sono decine di teatri di piccole e medie dimensioni che con 50mila euro all’anno, se li avessero, sarebbero in grado di portare avanti programmazioni più che dignitose e di portare gente a teatro, ma devono scontrarsi con le pastoie di un paese dove la cultura dev’essere asservita al potere se vuole essere definita, e foraggiata, come tale. Gli scontri tra direttori artistici e ministri, tra salvatori della patria e presunti tali, non servono a nulla se non ai soliti noti che passano il tempo incolpandosi l’un l’altro dei loro rispettivi fallimenti. In nome della cultura naturalmente.
(15 marzo 2017)
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