di Mila Mercadante twitter@Mila56170236
“La fedeltà è assurda almeno quanto la passione, ma dalla passione si distingue per un costante rifiuto di subire i suoi estri, per un costante bisogno di agire per l’essere amato, per una costante presa sul reale, che cerca di non fuggire ma di dominare. Dico che una fedeltà così intesa fonda la persona. Perché la persona si manifesta come un’opera, nel più largo senso del termine. Essa viene edificata alla maniera di un’opera, con gli stessi criteri, dei quali il primo è la fedeltà a qualcosa che non esisteva e che si viene creando.” Denis De Rougemont, L’Amour et l’Occident
De Rougemont non aveva intenzione di elogiare fedeltà e matrimoni, che in sé non rappresentano dei valori: prevedeva con anticipo e con estrema lucidità la crisi del matrimonio nella società occidentale proprio nello stesso periodo in cui Lacan, Deleuze, Guattari, Marcuse spogliavano il matrimonio del suo significato istituzionale. Questi ultimi avevano ragione: molte delle coppie di una volta si sposavano per motivi che poco o nulla avevano a che fare col sentimento e molto avevano a che fare con lo status, la conservazione e l’accrescimento di patrimoni, la protezione e la tutela delle donne e della prole, la paura della solitudine e dell’esclusione sociale, la prassi, la consuetudine, l’obbedienza, il conformismo. I matrimoni quasi sempre duravano per sempre perché non era necessario che i coniugi fossero legati dalla passione. Anche i matrimoni che definirei autentici, vale a dire quelli scaturiti dall’amore, in passato non rischiavano facilmente di finire perché l’amore – contrariamente alla passione, che è temporanea – stava coi piedi per terra, essendo la responsabilità la sua proprietà transitiva, contrapposta alla mitizzazione del desiderio perenne di scegliere, di andare in cerca. Bisogna adoperare il tempo imperfetto perché quando la Storia non era avanzata abbastanza il nichilismo non poteva assurgere al livello di verità generale, né a quello di banalità sostanziale. Adesso che la Storia è compiutamente avanzata, il nichilismo finalmente è.
Il matrimonio d’amore non è più contemplato perché il sentimento dell’amore è stato completamente soppiantato dalla passione. La scelta totale fa fuori l’idea stessa di libertà che crede di sostenere e di difendere. Schiavizza. Una cosa, o una persona, vale l’altra. L’involuzione che il grandioso pensiero filosofico di Deleuze e compagnia avrebbe subìto negli anni sotto la sferza del consumismo e del mercantilismo non era prevedibile, ahinoi. La via del fuoco verso la cenere non era la strada che stiamo percorrendo ora. Per creare il nuovo bisogna distruggere il vecchio stando attenti a conservare la memoria di ciò che non si vuole più. Se si perde la memoria si precipita in un baratro. Deleuze teorizzava una società completamente rinnovata culturalmente e in tutti i suoi meccanismi. Se è solo l’idea di famiglia a perdere valore in un contesto socio-politico immutato – anzi, di molto peggiorato – non c’è possibilità di rinascita: c’è solo decadenza.
Guardando intorno a noi e dentro di noi scorgiamo due tipi di nichilismo: quello passivo e quello attivo. Il nichilismo passivo caratterizza coloro che non credono a ciò che fanno però lo fanno ugualmente. Il nichilismo passivo è la faccia più triste del conformismo. Il nichilismo attivo è la ribellione sistematica a tutto: benché esasperato, se praticato con coscienza è infinitamente migliore del primo. Tra i due poli c’è una terra di nessuno, c’è Jack lo Squartatore. Il nichilista passivo è schiavo della passione, naturalmente. Passione è patire l’altro, non è azione bensì l’esatto contrario, è sottomissione passiva a un’emozione transitoria. Quando la passione tra due esseri umani muore sotto i colpi della consuetudine, quando si scopre che l’intimità non offre semplicemente un bel corredo di poesia ma contiene pure un certo numero di prosaici disguidi, allora si ritiene opportuno procedere con gli avvocati e volare alla ricerca di altri Tizi e altre Tizie da impalmare, o almeno da trascinare in una nuova avventura da vivere in due, sotto lo stesso tetto. Dunque sposarsi non modifica più il corso di un’esistenza: è un passaggio, un episodio. Di definitivo e ineludibile non c’è che la prole, eppure anch’essa non svolge più alcuna funzione “regolatrice” del desiderio di cercare a tutti i costi la felicità, rappresentata esclusivamente dalla passione. Il dolore di uno dei membri della coppia o dei figli non conta niente se paragonato all’autenticità di ciò che si prova e all’impossibilità di rinunciarvi.
I bambini sono spesso un intralcio, non solo alla libertà in sé ma anche alla realizzazione economica degli individui (senza figli si arriva con minore difficoltà a fine mese) e in particolare delle donne, troppo spesso penalizzate sul lavoro proprio a causa della scelta di diventare madri. Scompare la spontaneità, la pianificazione soppianta completamente un impulso primordiale, originario, libero. Ciò è ancora più evidente quando le coppie sterili eterosessuali e gli omosessuali ricorrono alla costosissima gpa. Per la prima volta coloro che non possono avere figli hanno l’opportunità di ottenere creature a cui hanno trasmesso una parte del proprio patrimonio genetico oppure un dna particolarmente accattivante. L’accidentalità insita nell’adozione sparisce. Si sta preparando così la negazione dello stesso concetto di natura, di antropologia.
Lo spirito critico, insopportabile nell’era del nichilismo, risulta disturbante e antiquato perché è contrapposto alla dura legge del dato di fatto, sempre più caro agli intellettuali compiacenti – un vero esercito – i quali sfoggiano un ottimismo da pubblicitari e da sensali e se ne servono per attribuire inumanità a tutte le voci dissenzienti. Non rivolgono mai un’accusa a ciò che il criticante disvela bensì a quest’ultimo.
I nazisti – passionali fino alle estreme conseguenze – anticiparono tutto questo con estrema brutalità. Ripulita di ogni violenza tangibile, l’idea in sé è riutilizzabile.
(9 marzo 2017)
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