di Vittorio Lussana twitter@vittoriolussana
Un Festival di Sanremo assolutamente piatto e insulso, come al solito. Anzi, peggio del solito. Lo specchio esatto di un Paese in grave crisi d’identità, che mescola argomenti serissimi, come la violenza sulle donne, con la propria atavica mentalità sessista e repressa; con Francesco Totti e il solito ‘pallone’ utilizzati come panacea di tutti i mali; con Maurizio Crozza che cerca di convincere il secondo popolo più vecchio del mondo, ormai destinato all’estinzione, a “trombare”, senza rendersi conto che ormai ci è passata la voglia persino di far quello. Perché se un’emerita nullità come Caterina Balivo può permettersi di ‘vomitare invidia’ su twitter per la ‘mezza coscia’ di una giornalista di Sky, c’è ben poco da sperare per l’Italia. I nostri retaggi d’inciviltà e di inculturazione ormai emergono a ogni piè sospinto, tra gente che si rispecchia in un sottoproletario divenuto calciatore famoso e in una conduttrice quasi ‘maschia’, strumento consapevole di quella ‘sostituzione’ del pubblico televisivo che ha definitivamente appiattito verso il basso ogni genere e tipo di dignità popolare. E’ ora di dare pienamente ragione ad Antonio Gramsci, allorquando con grande acume sociologico comprese come il solo modo per essere un buon italiano fosse quello di diventare ‘antitaliani’. Una manifestazione stracolma di ‘riempitivi’ e perdite di tempo, che non ha saputo trasmettere nulla di nuovo a causa di un mondo della produzione discografica prigioniero di conventicole e ‘marchette’, inebetito da un’implosione sociale ormai pienamente in atto, dove non si trova più uno ‘straccio’ di personalità artistica in grado di dimostrare un briciolo di talento e coerenza musicale. Un Paese ripiegato su se stesso, ormai trasformato in un ‘gerontocomio impazzito’ arroccatosi dietro la propria inacidita malignità, fermo in attesa che i suoi troppi ‘vecchi’ si tolgano definitivamente dalle ‘palle’, in tutti i campi e settori. A cominciare da quelli artistici.
(9 febbraio 2017)
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