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E’ passato anche questo Natale, possiamo smetterla di fingere di essere buoni

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di Il Capo

 

 

 

 

 

Dunque è passato anche il Natale 2016 con tutto il suo carico di sensi di colpa e le sue immagini televisive di film americani con angeli che cadono sulla terra affinché l’amore prosperi, scandito da lutti internazionali che vanno dal coro dell’Armata Rossa (straordinario esempio di manipolazione culturale per fare in modo che si dimentichi cos’era l’Armata Rossa), a pop star infartuate che se vanno improvvisamente (mentre tutto un social network starnazza sulle reali cause della sua morte) e papi che, dimentichi delle responsabilità dell’Istituzione temporale della quali sono capi, vagheggiano di sangue e morte e sensi di colpa. Questi ultimi sono abilmente veicolati anche dalle televisioni nazionali che inviano le loro inutili programmazioni nelle case italiane e che, come ogni anno, propongono la fame-spettacolo per ricordare a chi sta pranzando che qualcuno non può farlo: dietro il sinistro avvertimento il sostegno dello sponsor pubblicitario di turno che fa soldi anche sul dolore. La sera improbabili filmetti da due soldi, revival alla “Sette spose per sette fratelli” (coreografie ancora entusiasmanti a decenni di distanza), ed in famiglia insopportabili monologhi del padre di famiglia che, nonostante sia un becero ignorante sgrammaticato, pretende di avere anche qualcosa da dire sulla situazione internazionale e sui terroristi che entrano in Italia dalla Germania (“Come avrà fatto? E i controlli?”), perché per lui Schengen è soltanto un suono simile a quello evocato dallo sforzo che si fa per svuotarsi sulla tazza. Folgorato anni fa dalla parola “buonismo”, continua ad usarla a sproposito confondendola – inconsapevole? – con il rispetto delle leggi e dei paletti di uno stato di diritto. Nel frattempo sprofonda nei cruciverba, ché bisogna tenere il cervello allenato. Il 26 è giorno di cartoni animati e del grugnire del post abbuffata. Qualcuno osa chiedere se quel tal supermercato è aperto e, sommerso da ironie di vario tipo, si  abbandona alla necessità di placare il furore post-natalizio (molti dei pacchi saranno ancora sotto l’albero, nemmeno aperti) e dell’ennesima festa della famiglia ipocrita, perbenista e falsa disegnata dai media che di questa giornata hanno fatto il supremo strumento di controllo delle masse. I pargoli, dal canto loro, educati a consumare come e più dei padri, sono stati sommersi di regali che a partire dal 27 dicembre non degneranno più di uno sguardo, torneranno a scuola mentre gli adulti che li educano [sic] riprenderanno le occupazioni quotidiane con il contorno di invidie, maledizioni, odio, livore, tradimenti, rincorsa al potere e lacrime ai funerali non prima di avere insegnato ai figli che  invidie, maledizioni, odio, livore, tradimenti, rincorsa al potere sono cose disdicevoli. Almeno c’hanno provato, direte voi. Infine riprenderanno le scorribande sui social, nei giorni natalizi tutti votati all’augurare ogni bene (tanto per augurare ogni male ci sono altri 363 giorni), e tutti insieme riprenderemo il nostro sentirci buoni (proprio come per Natale) perché abbiamo fatto sedere una vecchietta sull’autobus o adottato un gattino trovato per strada. In realtà noi siamo proprio quella cosa lì, fatta di bontà, altruismo e profonda compassione, ma ce ne ricordiamo solo per due giorni l’anno e tutto suona insopportabilmente stucchevole e falso. E non è nemmeno una colpa.

 

 

 

(27 dicembre 2016)

 

 

 

 

©gaiaitalia.com 2016 – diritti riservati, riproduzione vietata

 

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