di Giancarlo Grassi
Eravamo nella capitale qualche settimana fa, dove risiedono un certo numero di persone alle quali vogliamo bene, tutte impegnate nel campo dell’associazionismo pro diritti umani, tutte fortemente compromesse con quella che chiamano “la felicità degli altri” o il “diritto alla felicità altrui”. Come non essere d’acordo con chi si impegna per la felicità altrui? Abbiamo passato, anche per questioni di lavoro, otto giorni nella città eterna (straordinari i commenti sulla nuova ammministrazione sui mezzi pubblici e per strada, ma questa è un’altra storia). E’ evidente che non appena arrivati abbiamo contattato le persone alle quali vogliamo bene, chiedendo loro di incontrarle quando fosse stato possibile, anche “solo dieci minuti per un caffè”. Questo piacere ci è stato negato dalla valanga di impegni continui e dai continui rinvii “devo fare questo”, “devo fare quell’altro”, oltre che dai continui problemi che affliggono cronicamente i mezzi con i quali a Roma ci si muove. Così che, senza avere la fortuna di incontrare coloro che avremmo avuto tanto piacere di incontrare, siamo tornati dove viviamo. La domanda tuttavia, l’avevamo già rivolta ad una delle persone alle quali vogliamo bene, è a cosa serve tutto questo impegno nei confronti degli altri (siamo sicuri che sia proprio nei confronti degli altri?) se poi non si trova il tempo di incontrare le persone e gli amici che diciamo di amare? Perché coloro che sono sempre impegnati ad occuparsi di qualcuno puntualmente si disinteressano di coloro che hanno di fronte? Ci sembra un paio di interrogativi interessanti…
(2 novembre 2016)
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