di Il Capo
Mentre il loro partito, il PD, perdeva le elezioni che doveva vincere a suon di “smachiare gziaguari” (si dice che ci fosse soltanto D’Alema a controllare i risultati al Nazareno) e Bersani si sentiva già trionfatore e presidente del Consiglio, i fatti andavano in una direzione diversa. I 5Stelle facevano il pieno di voti, arrivando a 100mila voti dal partito di Bersani che riusciva a farsi schiaffeggiare (politicamente parlando) da una statista [sic] del livello di Roberta Lombardi, che dovrebbe fare curriculum, nel senso d’esperienza, ed era costretto ad abbandonare in poco tempo l’idea di fare il Primo Ministro ed anche la segreteria del PD, cosa che avrebbe aperto la porta alle trionfali primarie vinte da Matteo Renzi.
Nel frattempo loro, le regine della festa, si camuffavano da riformatori e davano ad Enrico Letta il rovente testimone della presidenza del Consiglio, eleggevano alla vicepresidenza della Camera quell’altro grandissimo statista chiamato Luigi Di Maio, votavano tutte le leggi che – anche allora – andavano nella direzione di quelle di Matteo Renzi, e godevano dell’appoggio esterno (dichiarato) di Verdini, che allora non gli faceva schifo.
Poi venne il governo Renzi che dichiarò immediatamente, urbi et orbi, quello che avrebbe fatto, referendum compreso. Così cominciò la guerra interna al PD, (all’interno della quale la segreteria di Renzi ha un abbondante 70% di consensi). La minoranza PD si trovava così ad essere rappresentata dal candidato di più basso profilo dai tempi di Occhetto, quel Gianni Cuperlo che ce la fa a prendersi un 17% scarso, con Civati ultima reginetta della festa, che si rompe le corna attorno al 12%. L’invidia, tra regine, è una bruttissima bestia: l’ultimo della fila se ne va dal partito e fonda un movimento che nulla ha da dire se non qualche post sul tema caldo del momento, normalmente filtrato dall’egopatia civatiana e dall’acredine che solo i perdenti che non sono stati capaci di imparare a vincere sono capaci di manifestare.
Per Gianni Cuperlo inizia un lungo purgatorio nel quale deve riuscire, con il suo incomprensibile eloquio fatto di battute feroci, di invidia incontinente, di bile suggerita dai bersaniani, già dalemiani, dato che Fassino e Finocchiaro si sono convertiti all’altra sponda – nel senso di renzismo – ed hanno capito che forse è davvero un momento storico: nel senso che l’opportunità di cambiare le italiache cose proprio non si presenterà più, nel caso si perda anche questo treno.
Non c’è una legge che vada bene, alle reginette della festa; riescono a rendere noto al mondo – indebolendo il partito e rafforzando il fascismo populista dei 5Stelle – che la loro unica occupazione è quella di tagliare le gambe al governo Renzi, che è anche il governo del loro partito. Non hanno una proposta, che sia una, ma sono pieni di “No”. Sono “No” livorosi, antipatici, partoriti come flatulenze intestinali. Sono pazzerellone idiosincratiche che prendono una decisione, poi la cambiano, poi la cambiano ancora, un po’ come la professoressa che ha in antipatia lo studentello e che lo boccia qualunque cosa egli faccia, al di là del merito. Riescono dove nessuno prima di loro è riuscito: votano leggi non una, ma due e addirittura tre volte, e quindi dicono “No” perché deve averglielo ordinato il colonnello D’Alema, noto anche come il leader Massimo, che negli ultimi vent’anni è sopravvissuto facendo sgambetti. Il tutto dovrebbe essere reso giustificabile [sic] dall’invisibile trasparenza politica di Gianni Cuperlo che si presenta ad ogni raduno mondano e regala i suoi discorsi doppi, tripli e quadrupli, dove cita questo, ma anche il suo contrario, all’interno dei quali dice sì, ma anche no e che infarcisce di bordate al premier-segretario rifugiandosi quindi da Lilli Gruber a Otto e Mezzo – e dove volete che vada il leader del 17% inviso anche ai suoi che non sanno come toglierselo di mezzo – a ri-giustificare l’ingiustificabile e a confermare che se dovesse decidere di votare “No” al referendum, prima si dimetterebbe da deputato, cosa che non potrebbe che essere festeggiata con feste di piazza in tutto il paese.
Sono rese cieche dall’invidia, le reginette delle festa, e non perdono occasione per devastare – privatamente e pubblicamente – il primo ministro-segretario che in fondo è stato eletto da quelli che le reginette chiamano “la nostra gente” discutendo di rispetto, quasi che loro ce l’avessero (il rispetto) dato che vogliono far saltare in aria colui che quelli che chiamano “la nostra gente” hanno votato.
Fra livori ed afrori giunge anche il viaggio di Matteo Renzi negli Stati Uniti, accolto alla Casa Bianca con tutti gli onori e con l’endorsement di Barack Obama alle riforme.
E’ il buon Bersani che “smachiava i gziaguari”, già preso a sberle da Roberta Lombardi, a prendersi la responsabilità di rimediare l’ennesima figuraccia da Grande Vecchio della politica senza speranza, che riesce a lamentarsi della mancanza di “misura” e di “garbo” del presidente americano, accusandolo di “urtare sensibilità ben radicate”, di ignorare completamente “il contesto geopolitico mondiale” dato che si dev’essere dimenticato di consultare Cuperlo il buon Obama, e facendo dell’inutile e squallida ironia sul “Basta un yes…”.
Non sappiamo chi vincerà il referendum, decideranno gli elettori, ma tutta la vicenda legata alle riforme costituzionali una cosa l’ha resa chiara. Anzi, chiarissima: c’è una parte d’Italia, una parte della sinistra italiana, che si definisce progressista ma è più conservatrice della destra più conservatrice. E’ quella sinistra che si autodefinisce sinistra che è stata silente alleata di Berlusconi per un ventennio e che ora, le riforme, proprio non le vuole, in nome delle proprie beghe interne. Si sentono regine e sono sguattere (politicamente parlando)…
(21 ottobre 2016)
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