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Massimo D’Alema va alla guerra con la destra: da Fini a Cirino Pomicino. Proprio un grande riformatore

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massimo-dalema-09di Il Capo

 

 

 

 

 

 

 

Eccolo il nuovo che avanza: Massimo D’Alema, il guerrafondaio travestito da pacifista, il distruttore travestito da costruttore che si ritrova insieme alla destra più bieca, più falsa e più opportunista del paese per lanciare i suoi strali guerreschi contro il referendum. Con lui l’ondivago Pippo Civati, al quale va riconosciuto il merito di essersene andato dal PD ed insieme il demerito di non essersi dimesso da deputato, dato che col PD era stato eletto, ma udite udite, anche gente di provata esperienza riformatrice come Quagliariello (che ha parlato di “umiltà”), Gianfranco Fini, vicepresidente del Consiglio e successore in pectore di Berlusconi trombato in tutte le maniere, Cirino Pomicino, Lamberto Dini, Stefano Rodotà. C’erano Davide Zoggia, Danilo Leva, il capogruppo della Lega alla Camera, Massimo Fedriga, l’altro leghista Giancarlo Giorgetti, c’erano Renato Brunetta e Paolo Romani di Forza Italia. Insomma il fior fiore del riformismo italiano, si è riunito per dar man forte all’uomo che ha bloccato tutte le riforme possibili degli ultimi due decenni in nome del suo potere personale e del mantenimento dello status quo.

 

Il D’Alema guerrafondaio ha parla di “Clima di paura e intimidazione” avvertito da chi vuole votare ‘No'”, utilizzando il linguaggio che Berlusconi ha utilizzato per vent’anni per richiamare i voti di chi ha paura di ogni cambiamento. Il D’Alema guerrafondaio che parla di pace andando alla guerra ha riunito attorno a sé tutto il gotha del ventennio berlusconiano che hanno portato l’Italia sull’orlo del baratro, quel baratro che D’Alema non ha fatto nulla per evitare, perché la cosa più importante è il potere all’interno del PD, come prima lo era dentro i DS, prima ancora dentro il PDS e prima ancora dentro il PCI. D’Alema permette ad un nano politico come Renato Brunetta, che con Berlusconi – e troppo spesso coi voti dell’ora minoranza PD della quale D’Alema è insieme Vate e Sommo Suggeritore – ha votato tutte le porcate dei governi Berlusconi, di essere presente alla convention da lui organizzata poco prima che lo stesso Brunetta dicesse a Montecitorio che “Renzi fa carne di porco della democrazia”, vi preghiamo di considerare il pulpito dal quale viene la predica.

 

D’Alema, insieme ai conservatori che hanno bloccato l’Italia per vent’anni, tifa per il “No” al referendum e lancia i suoi, che son quelli della minoranza PD, a testa bassa contro Renzi dopo che quella minoranza ha votato per tre volte la riforma in Parlamento, insieme a Forza Italia (e quindi a Brunetta), insieme a Quagliariello, insieme alla maggioranza delle facce di bronzo convocate per dar man forte al leader Massimo.

 

Quindi D’Alema compie il suo capolavoro di distruzione politica, aprendo ad un possibile governo a 5Stelle: “Chi accusa il fronte del ‘No’ al referendum di tirare la volata a M5s dovrebbe ricordare che è stato il Pd a consegnare la capitale del Paese a Grillo”. Colui che è stato primo firmatario di una disastrosa proposta che ha poi portato all’approvazione (a maggioranza!) della riforma del Titolo V della Costituzione (i cui risultati sono sotto gli occhi di tutti) accusando Renzi: “Con l’approvazione della riforma costituzionale a maggioranza(!) il segretario del Pd, Matteo Renzi, ha contraddetto il Manifesto dei valori del partito, che impegnava il Pd ad approvare solo riforme condivise. Il disprezzo verso la Costituzione si vede anche da questo”.

 

Eccolo il D’Alema che va alla guerra per fare la pace. Con lui tutti i riciclati, trombati, tromboni e conservatori della nuova politica che puzza di vecchio e che sono sempre pronti ad ogni riforma salvo quando le riforme bisogna votarle sul serio, sempre che le riforme siano quelle che vogliono loro e senza che venga spostata una virgola. Sono quell che hanno votato le loro riforme costituzionale a colpi di maggioranza e che ora accusano il primo ministro-segretario del PD di fare ciò che loro hanno già fatto. Peggio.

 

 

 

 

 

(13 ottobre 2016)

 

 

 

 

 

 

 

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