di Daniele Santi
Così venne il giorno in cui Massimo D’Alema, a Radio Popolare, disse “Non ho cambiato io il Titolo V della Costituzione”, perché pur di mettersi di traverso rispetto a Renzi si fa qualsiasi cosa. L’ex leader Massimo, l’uomo che ha fatto lo sgambetto a tutti i segretari del suo partito venuti prima e dopo di lui, l’uomo che fu l’artefice della caduta del primo governo Prodi e che ne bloccò la spinta riformatrice spedendolo a Bruxelles alla presidenza della Commissione Europea, riesce dove nessuno è riuscito, nemmeno Berlusconi, e con una balla gigantesca infanga sé stesso, il suo governo – l’unico che ha presieduto – ed anche la sua non limpidissima storia politica, confermando che anche lui, come altri grandi [sic] vecchi della politica italiana, è al capolinea.
Fu in realtà proprio il suo governicchio, quello retto con i voti di Cossiga e di Mastella, a portare a casa la disastrosa riforma del Titolo V della Costituzione che Berlusconi contestò – giustamente, ma senza proporre nulla di decententemente alternativo – fino a perdere la voce. Fu la sua decisione – di D’Alema – di votare a maggioranza la riforma che portava la sua firma e quella dell’allora ministro per le Riforme Istituzionali Giuliano Amato, a portare al futuro muro contro muro in Parlamento ed ai continui ricorsi ai decreti legge, ai conflitti giganteschi tra stato e regioni che abbiamo sotto gli occhi oggi, che intasano i tribunali amministrativi regionali e costringono ad un continuo rimpallo di competenze tra Stato e Regioni. Altro che “Non ho cambiato io…”.
Era il 18 marzo 1999, come si legge dallo screenshot del documento qui in alto, e D’Alema era presidente del Consiglio da poco più di anno dopo avere defenestrato Prodi e fatto fuori l’Ulivo che aveva strapazzato Berlusconi alle elezioni del 1996, ed il leader-ombra (i vecchi vizi del PCI non si perdono mai) dell’attuale minoranza PD, aveva appena dato il via al processo di ostruzionismo di ogni riforma politica che non gli piacesse, processo che continua ancora oggi con la cieca e livida di odio, oltre che ridicola – opposizione al governo Renzi.
La dichiarazione di D’Alema si aggiunge alle altre uscite di Bersani che abbiamo commentate nei giorni scorsi, e rende noto, definitivamente ed una volta per tutte, che la minoranza PD è un partito di conservatore di destra che agita le acque politiche del partito di Renzi spacciandosi ideologicamente per una sinistra riformatrice. Una destra più subdola, perché travestita, che insieme alle altre destre si spende per bloccare ogni tentativo di riforma sapendo che se questa volta dovesse perdere il conflitto generazionale, quello tra la generazione dei quarantenni e quella degli obsoleti, verrebbe irrimediabilmente spazzata via.
Va detto che, tecnicamente, la riforma venne poi approvata dal Governo Amato che seguì quello di D’Alema che – prudentemente – si tolse di mezzo dopo la sconfitta del suo partito alle regionali (a proposito di personalizzazione delle elezioni). Amato (vedi foto in alto a destra) era il secondo firmatario della legge sulla riforma del Titolo V della Costituzione proposta dall’allora premier D’Alema.
(5 ottobre 2016)
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