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#Visioni di Mila Mercadante: la laicità dello Stato sotto attacco delle religioni

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Ebrei ortodossi 00di Mila Mercadante twitter@mila56170236

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Dal momento che la religione produce effetti pubblici e politici, essa aumenta considerevolmente il suo potere di nuocere” Michel Onfray

 

Il Consiglio di Stato francese ha sospeso il divieto del burkini per il comune di Villeneuve-Loubet precisando che “[…] non c’è alcun elemento per cui si debba ritenere che esistano rischi di ordine pubblico derivanti dalla tenuta balneare adottata da alcune persone. In assenza di tali rischi il sindaco non poteva prendere delle misure di interdizione all’accesso in spiaggia e al nuoto.” Il sindaco di Villeneuve-Loubet è incappato nelle maglie della burocrazia: avrebbe dovuto motivare la sua decisione entro tempi stabiliti, così come hanno fatto per esempio i sindaci di Cannes e di Sisco, che per questa ragione continueranno a mantenere in vigore il divieto. A Sisco in agosto si è scatenata una violenta rissa in spiaggia tra una famiglia di marocchini e alcuni cittadini còrsi: questi ultimi hanno fotografato e forse offeso le donne in burkini. E’finita con accoltellamenti, 10 feriti, auto rovesciate e date alle fiamme. Soltanto in seguito all’episodio il sindaco ha espressamente dichiarato di voler vietare il burkini per tutelare l’ordine pubblico e la tranquillità di tutti, musulmani, còrsi e villeggianti. Ben 31 comuni hanno adottato il provvedimento. In realtà solo 4 di essi hanno comminato multe. Il caso non è chiuso, se ne parlerà ancora a lungo e non solo in Francia. La faccenda del burkini non è una boutade estiva e trascurabile. Si tratta di stabilire i confini della libertà di ciascuno di noi, si tratta di capire come e fino a che punto sia possibile difendere la democrazia e i suoi princìpi liberali quando si ha la necessità (tira una brutta aria) di limitare e controllare negli spazi pubblici le abitudini di gruppi sociali fortemente motivati.

 

Se il divieto di indossare il burkini viene associato alla difesa della laicità è naturale pensare che si tratti di una forzatura: in un paese libero e democratico non si può impedire per legge a qualcuno di vestire come gli aggrada. Questa in effetti è la percezione che quasi tutti abbiamo avuto apprendendo la notizia dai media: l’idea di perseguire e multare le donne in burkini (l’anello debole della catena) ci è parsa odiosa e qualcuno di noi vi ha ravvisato elementi persecutori e perfino razzisti. A questo punto vale la pena di soffermarsi su alcune affermazioni dell’economista francese Jacques Sapir, il quale analizza in profondità il tema e rappresenta una  fetta dell’opinione pubblica francese. Sul suo blog egli spiega che il burkini – così come altri tipi di abbigliamento – non deriva da un obbligo esplicito della religione islamica bensì soltanto dalle interpretazioni di alcuni gruppi di persone di religione islamica.  Questo è evidente: non tutte le donne musulmane e non tutti gli uomini musulmani vestono alla stessa maniera. Ai giochi olimpici le atlete musulmane hanno gareggiato in costume da bagno o in burkini. Partendo da tale presupposto Sapir ritiene che l’interdizione del burkini non abbia nulla a che fare con l’intolleranza verso l’Islam in sé.

 

Sapir ritiene che lo slogan “è vietato vietare” ingigantisca l’equivoco e favorisca l’individualismo più rozzo. Si pensa che la laicità possa essere confusa con la tolleranza, ma la tolleranza non è un principio, è un valore individuale e dunque instabile. “La laicità non si comprende se non concependo il popolo come un’assemblea politica e non etnica o religiosa. E’ proprio per questo che la laicità è un’appendice della sovranità. La sovranità, facendo entrare la questione del potere nel mondo profano, impone il principio di laicità. La sovranità impone che le divisioni che attraversano il “popolo” possano alla fine contribuire – stabilendo compromessi che sono alla base delle istituzioni – alla costituzione del bene comune e della cosa pubblica. […] Questo è l’insegnamento che ci hanno lasciato autori come Bodin, Hobbes, Spinoza.”

 

Egli afferma che i fondamentali del pensiero repubblicano e democratico siano oggi messi a dura prova “non tanto da un’ideologia che cerca di confondere la città di Dio e la città degli uomini quanto da un’ideologia che intende fondare sulla religione un progetto politico separato, giungendo alla negazione del principio repubblicano che esige che nessuno possa essere identificato per la sua fede religiosa o per il suo orientamento sessuale. Da questo punto di vista coloro che hanno creduto di difendere la libertà individuale sono stati strumentalizzati in un dibattito nel quale hanno preso le parti di individui che in realtà odiano queste libertà individuali. Questa storia è rivelatrice di un problema politico, ed è politicamente che bisogna trattarla.”

 

Oggi la parità o la disparità tra uomini e donne può essere considerata una faccenda privata? Se una parte della popolazione ignora le nostre conquiste e “tende a stigmatizzare l’inferiorità delle donne”, le istituzioni devono reagire – continua Sapir – perché non possono permettere a un pugno di individui (i salafiti) di testare la tenuta della nostra laicità mettendola in discussione. L’impressione che ho tratto dalla lettura degli interventi di Sapir e di alcuni quotidiani francesi è di un grandissimo timore: col tempo, lasciando fare, potremmo perdere ciò che abbiamo ottenuto? Col tempo la religione potrebbe contaminare lo spirito laico? Sapir sostiene che più la sovranità si indebolisce, più gli individui cercheranno di sostituirla con i propri valori d’appartenenza. “Da quando la sovranità è stata violata, contestata, noi constatiamo una rimonta del problema religioso che nasconde in realtà una forma di sentimento identitario.”

 

Non posso fare a meno di pormi domande sugli ebrei ultra-ortodossi. In Europa la comunità di ebrei ultra-ortodossi più numerosa si trova proprio in Francia. Essi sono molto prolifici, esattamente come i musulmani, e come loro rispettano numerose regole inderogabili che sono in pesante conflitto con quelle di uno Stato laico e con l’emancipazione femminile. Così come accade per la religione islamica, anche le regole adottate dagli ultra-ortodossi non rispecchiano in alcun modo l’intera religione ebraica. Per quel che concerne l’abbigliamento essi sono severissimi: le donne non possono indossare pantaloni, possono portare solo gonne lunghe, vestono abiti accollati e calze coprenti anche in estate, e se sono sposate devono indossare il tichel (un copricapo) oppure una parrucca; gli uomini vestono di nero, portano larghi cappelli e hanno i boccoli (peyot) ai lati del viso. Queste non sono chiare manifestazioni esteriori di una forte identità religiosa?

 

Negli USA gli ultra-ortodossi sono tantissimi, costituiscono il 30% dell’intera comunità ebraica. Se si prova a entrare in pantaloncini, con una gonna corta o con una maglietta scollata in un negozio newyorchese gestito da un ebreo ultra-ortodosso si viene prontamente cacciati. Negli States la Commissione per i diritti umani ha condannato questi ed altri comportamenti discriminatori nei confronti dei non ortodossi ma gli ultra-ortodossi non sentono ragioni, si stanno facendo velocemente spazio nel discorso politico e pretendono che le loro abitudini vengano rispettate. Tanto per dirne una, nel 2014 un volo New York/Tel-Aviv fu bloccato prima del decollo da un gruppo di viaggiatori ultra-ortodossi che rifiutavano i posti a sedere accanto alle donne. Furono accontentati. Questo rigore non è il segnale di un “progetto politico separato”? Si. Non preoccupa perché nel rapporto manca la componente aggressiva, sia da parte nostra nei loro riguardi, sia da parte loro nei nostri riguardi. Non li si percepisce come “nemici”. Nessuno può negare però che la comunità ebraica ortodossa in Francia sia più vulnerabile agli attacchi isolati degli antisemiti proprio in virtù della riconoscibilità dovuta ad alcuni capi d’abbigliamento. Come la mettiamo? Se Sapir ha ragione a preoccuparsi, perché burkini e hijab no e peyot e tichel si? O tutti o nessuno, signori legislatori. Ma è davvero così che se ne esce?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(29 agosto 2016)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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