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#Visioni di Mila Mercadante, c’era una volta la satira in Italia: feroce, incontenibile, sguaiata, arguta e colta. C’era una volta…

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Il Male Vauro 00di Mila Mercadante   twitter@Mila56170236

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Nella stampa istituzionale siamo tollerati. Al limite siamo degli ospiti. E, come tali, sovrastati dalle regole dei padroni di casa. […] Sono loro a dettare il menù, le priorità”. Mannelli

 

Pino Zac, Mannelli, Sparagna, Vincino, Pazienza, Vauro. Ne dimentico sicuramente qualcuno.

 

I quaderni del sale, Il Male, Cuore, Frigidaire, Tango, Cannibale. Ne dimentico sicuramente qualcuno.

 

Una volta la satira in Italia si faceva ed era feroce, incontenibile, sguaiata o meravigliosamente arguta e colta. Si faceva, e i giornali succitati vendevano centinaia di migliaia di copie. Le redazioni lampeggiavano e rimbombavano, erano altiforni che producevano idee e critiche pungenti come lame di coltello. I membri delle istituzioni s’infuriavano e si scandalizzavano, le persone comuni no. Gradivano molto, percepivano lo stimolo. Il problema è che la satira non è una forma di intrattenimento come la comicità, e noi ormai siamo incapaci di distinguere tra un comico e un autore satirico. La satira è il dito nella piaga del mondo che ti circonda, è uno specchio che riflette un volto senza trucco, il potere senza maschere, nudo. La satira non sempre ti fa ridere e se ti fa ridere l’effetto è doloroso, un po’ come quando ti operi di appendicite e qualcuno degli amici che ti viene a trovare in ospedale fa una battuta: mentre tu ridi la ferita fa un po’ male.

Sono cambiati i tempi, gli umori, gli italiani. Adesso somigliamo a certi anziani professori inaciditi e ci scandalizziamo moltissimo, siamo diventati tutti moralisti. Chi ci ha ridotti così? Il temibile decalogo del politicamente corretto, la camicia di forza dell’intelletto, un mostro tentacolare che dietro al tentativo di correggere i nostri peggiori difetti (maschilismo, omofobia, intolleranze varie, ignoranza) nasconde le sue reali intenzioni, che sono quelle di nutrirci con una pappina fredda e moscia – un cucchiaio al giorno – fino a che non perdiamo tutti i denti, tanto da masticare non ce n’è. La cultura di massa propone modelli senz’altro positivi da imitare e poi ci chiude in una gabbia di protocolli da rispettare. Libero è colui che può prendersi qualche libertà.

 

Da un po’ di tempo a questa parte il direttore de Il Fatto Quotidiano corre di gran trotto, scalpicciando deciso contro Maria Elena Boschi. Usa anche metodi poco ortodossi, talvolta assimilabili a quelli di certi quotidiani di destra. Marco Travaglio – solitamente chino a studiare su capillari indagini, foto segnaletiche, calendari e atti giudiziari – si è dedicato alla ministra con un fervore particolare. Non si accontenta di criticarne l’operato, così come è lecito: lui attacca sul piano personale, parla di cellulite, sfotte, e così facendo si perde, mette in evidenza come tutti gli altri l’aspetto più triste e ovvio del giornalismo: una redazione non è che un’appendice parassitaria del Palazzo, ognuno ha il suo pezzetto di potere, i suoi intrallazzi, i suoi intrecci, le amicizie, e ognuno segue la sua corrente. Di nuovo, di contrario, di creativo non c’è più niente.

 

Detto questo, la vignetta di Mannelli – sebbene nata e concepita nel solco degli attuali interessi della linea editoriale del FQ – non può essere paragonata agli articoli di un direttore di testata o di un giornalista. E’ satira. Come tale va accettata, evitando di attribuire all’autore le solite etichette di sessismo e di maschilismo. La vignetta dello scandalo è molto sensata, tutt’altro che volgare. Non è affatto volgare la ministra in carne e ossa quando viene immortalata dai fotografi seduta e con le gambe scoperte, oppure in abito da sera scollatissimo: è un personaggio politico giovane, non una suora. Non è volgare quando durante un convegno si toglie la giacca e ammicca a una platea mormorante e adorante “Ragazzi, ho solo tolto una giacca, mica sono nuda”. Non è volgare neanche quando afferma “Tra il dire e il fare c’è di mezzo il Parlamento”, frase sfuggita a molti, indicativa del fatto che questo governo giudica il Parlamento un intralcio, in perfetta linea col pensiero di Berlusconi. Perché allora dovrebbe essere volgare un disegno?

 

Se Maria Elena Boschi è stata nominata ministra per le riforme e per i rapporti col Parlamento ci sono motivi che esulano dalle sue capacità e dalla sua preparazione, pur non negandole affatto. Non lo dico per cattiveria o per partito preso, lo dico perché sappiamo tutti benissimo sin dall’inizio che le riforme costituzionali non sono state messe a punto da lei. Del resto – e non ce n’era bisogno –  lo ha confermato lo stesso Presidente del Consiglio: trattasi di compiti assegnati, magari attribuiti teoricamente a Napolitano ma imposti da ben più irraggiungibili e innominabili potentati. Le riforme sono uguali per tutti, in Europa. Ogni governante elabora formule diverse per il raggiungimento di un medesimo risultato. Non ci piove, altrimenti non staremmo sempre a dire che della sovranità se n’è persa la traccia. I governi servono interessi che non riguardano i cittadini né i governi stessi bensì il potere finanziario. Commissione europea, FMI, BCE incalzano. Il Financial Times ci minaccia, le agenzie di rating pure. Vogliono una Costituzione “meno antifascista”. Se al posto di Boschi ci fosse stato qualcun altro non sarebbe cambiato proprio nulla in termini di obiettivi. Allora quali sono i motivi reconditi per cui è stata scelta Maria Elena Boschi? La sua granitica e assoluta fedeltà al premier e la sua avvenenza. Il governo – nel Palazzo e fuori – si fa rappresentare nella sua veste migliore.

 

L’incarico è delicatissimo. Il più delicato in assoluto. La bellezza serve eccome: distrae, stempera, ingentilisce notevolmente tutto ciò che gentile e buono non è, crea lo stato d’animo giusto, ispira fiducia e anche un senso di protezione. La donna di potere bella e curata piace molto agli uomini ma piace anche alle altre donne: si identificano, si inorgogliscono, e soprattutto sono tutte predisposte alla difesa come tante sentinelle. Guai ad attaccare una donna: c’è sempre di mezzo il sessismo, più l’invidia, più la frustrazione. Insomma la ministra non si tocca, la ministra è l’alter ego di Renzi. Lo stato delle cose Mannelli lo spiega con il minimo sindacale di satira.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(12 agosto 2016)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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