di Gianfranco Maccaferri twitter@gfm1803
Ho deciso di scrivere questo articolo anche se in realtà di mio non c’è nulla: ho solo trascritto le parole di un amico arabo che l’altra sera mi ha raccontato la sua personale drammatica storia, poi ho ordinato le fasi del racconto in modo che avessero una logica temporale; ho voluto inserire anche le motivazioni, sempre da lui espresse ma in modo sparso, che lo hanno portato per la prima volta in vita sua a raccontare i segreti che si portava dentro da oltre dieci anni.
Il ragazzo, un 26enne di origine tunisina, vive tranquillamente quella che oggi è definita la “sessualità liquida”, un orientamento sessuale e affettivo fluido vissuto con esperienze maschili e femminili in assoluta serenità; un ragazzo consapevole della libertà che ciò gli offre e, considerando la cultura di cui è stato imbevuto sino a dieci anni fa, è invidiabile il suo esserne cosciente, felice, il suo non nascondere nulla, neppure agli amici arabi.
Voglio raccontare la mia storia perché sono stanco della morale che ascolto da molti italiani, soprattutto gay, sulla questione degli abusi sessuali fatti sui ragazzi giovanissimi: se la violenza sessuale e psicologica fatta a un adolescente avviene in Italia fa scandalo, se succede nei paesi arabi è eccitante.
Mi spiego meglio: voi italiani, se un uomo adulto costringe un ragazzino a fare sesso, lo chiamate pedofilo, lo volete in galera, lo volete castrare, evirare, lo volete morto per quanto male ha fatto a un essere innocente, ma contemporaneamente vi eccitate a pensare o a immaginare la scena di un uomo arabo che fa sesso con un ragazzino; credete che questo sta nelle cose, nelle regole di vita di noi arabi, come fosse una iniziazione culturalmente condivisa, come fosse una fiaba delle “Mille e una notte” o una poesia di Abu Nuwas, se sapete chi è; ogni volta che ne parlate vi immaginate scene erotiche all’interno di hammam e si vede nei vostri occhi un’eccitazione che davvero mi disgusta.
Voglio dire che non c’è nulla di vero in quello che sognate o immaginate. L’abuso su un ragazzino è violenza, sia che si parli di un europeo o di un arabo, di un nero o di un giallo, di un ragazzino ricco o povero, e che a perpetrarlo sia un adulto ignorante o un premio Nobel…
Partiamo dal presupposto che al mio paese gli uomini sono tutti dei morti di figa. Non sanno dove metterlo. Sono dei frustrati, alcuni sono omosessuali ma lo nascondono pure a se stessi. Anche quando si sono sposati cercano sesso disperatamente. Io li ho visti una volta prendersela con un’asina legata a un palo, saranno stati una decina e si sono sfogati per ore, ridendo felici.
Mio zio era come tutti gli altri giovani: un morto di figa e non era ancora sposato. Voleva, pretendeva sesso, e al paese non puoi farlo con le ragazze, lo esigi solo da tua moglie, ma prima devi avere i soldi per sposarla. Cosi quel bastardo un pomeriggio mi prese, senza chiedere, senza che io capissi. Io mi fidavo di lui, era mio zio.
Avevo 12 o 13 anni e lui circa 25.
È stato terribile, mi ha violentato tenendomi la bocca chiusa con la sua mano enorme, mentre con l’altra mi teneva bloccato riverso su un tavolo.
Non potete capire. Non potete conoscere il dolore lancinante. Ricordo solo che io non comprendevo cosa avveniva e lui continuava e io ero certo che stavo per morire. Non posso dimenticare, vorrei, ma non ne sono mai stato capace.
Da quando sono diventato più grande ho sempre pensato che avrei fatto ai figli di mio zio quello che lui fece a me. Un giorno ero in motorino con suo figlio più grandicello, mi sono fermato in un posto isolato, l’ho preso vicino a me… Ma quando lui mi ha guardato con quegli occhioni perplessi ho capito che mai avrei potuto fargli del male. Così iniziai a pensare di scopargli la moglie: da noi se uno ti scopa la moglie vuol dire che sei un finocchio, un incapace a tenerla a bada, di soddisfarla; mi sembrava una buona vendetta. Godevo pensando che sicuramente non sarebbe più uscito di casa e si sarebbe vergognato ad andare con i suoi amici anche solo a prendere un caffè. Poi non feci nulla, ma qualcosa devo escogitare per fargliela pagare, un giorno mi troverò nella situazione di potermi vendicare.
Comunque della violenza subita non dissi nulla a nessuno, la vergogna era tale che ero certo che la colpa fosse mia. Nessuno in casa aveva mai parlato di sesso, nessuno mi aveva mai spiegato nulla, neppure mio padre mi aveva messo in guardia da possibili situazioni da cui fuggire. Poco tempo dopo due ragazzi ventenni che abitavano vicino a casa mia mi coinvolsero in un lavoro giornaliero in campagna. A un certo punto mi ritrovai dentro ad un piccolo casolare per ripulirlo e i due iniziarono a toccarsi vistosamente i pantaloni. Eccitati. Io rimasi pietrificato immaginando cosa pretendessero da me. Ciò che accadde era invece oltre ogni mia esperienza o conoscenza.
Mi obbligarono.
Poi rimasi da solo, sporco ovunque, mentre da lontano le loro risa mi fecero piangere, vergognare, tremare dalla paura.
Ancora una volta non dissi nulla a nessuno.
Ero certo che solo a me capitavano quelle cose, nessun mio amico aveva mai neppure accennato a situazioni simili. Ero io lo sbagliato, il difettoso, il peccato, ero io ad attirare quelle situazioni.
Iniziai a isolarmi da tutto e da tutti. Temevo i grandi. Il mio sentirmi sporco mi allontanò anche dagli amici che continuavano a essere come sempre gioiosi, felici, energici, sprezzanti di tutto. Ricordo ancora quanto li ho invidiati e quante volte mi chiesi perché io, perché a me? Probabilmente questo mio atteggiamento fece sorgere qualche chiacchiera in paese e non escludo che i due ragazzi raccontarono a qualche amico la loro prodezza con me, sta di fatto che la gente iniziò a insinuare che io fossi finocchio e che chiunque volesse poteva approfittare di me.
I mesi seguenti furono crudeli.
Tutti i giorni, al mio rientro a casa, mia madre m’ispezionava. Dietro. Attentamente. L’umiliazione era enorme.
Un giorno mia nonna venne a sapere qualcosa di più, o le voci in paese le giunsero direttamente, sta di fatto che al mio rientro la trovai da sola all’ingresso; capii che mia madre, mio fratellino e le mie sorelle erano chiuse in una stanza. Disse di abbassarmi i pantaloni, ma la vergogna fu tale che le risposi sottovoce di no. Prese un tubo di gomma e mi ricattò: o mi abbassavo i pantaloni o mio padre mi avrebbe picchiato con quel pezzo di tubo. Le dissi di no, che davanti a lei non mi sarei mai abbassato i pantaloni. Si aprì la porta del salone e apparve mio padre. In silenzio prese il tubo di gomma dalle mani di mia nonna, con uno sguardo mi fece capire che mi dovevo spogliare. Eseguii l’ordine non pronunciato. Iniziò a picchiarmi ovunque, sopratutto sul culo, con una violenza che raccontava del suo risentimento, la sua rabbia, la sua offesa, il suo rancore, la sua delusione, la sua impotenza. Quando smise, non avevo più lacrime, fiato, parole, urla… Rimasi sdraiato sul pavimento, nudo, senza le forze per alzarmi.
Sentii mia nonna camminare, avvicinarsi, dire una frase tipo – se non lo capisci con i metodi di quel povero uomo di tuo padre, lo capirai con questo – percepii la sua mano in mezzo alle mie chiappe ma non avevo la forza di spostarmi e, dopo pochi istanti, sentii un dolore enorme, il fuoco che mi penetrava, il mio sedere bruciava, ancora oggi sento nelle orecchie quel mio urlo disperato.
Una manciata di peperoncino macinato era depositata lì. Come una lama affilata. Solo più bruciante.
Ecco, questa è la mia storia, la mia schifezza di vita al paesello tunisino dove sono nato, dove ho amato la mia famiglia, dove ho odiato tutto e tutti. A 16 anni me ne sono scappato, sono venuto in Italia da disperato con l’intenzione di cambiare la mia vita, il mio futuro.
E solo in questi giorni ho scoperto che non solo a me è capitato di essere stato violentato, picchiato, offeso da parenti, amici, vicini di casa, ragazzi del paese dove si cresce.
Ho letto statistiche, documenti, pagine di libri, tutti testimoniano che una percentuale altissima di ragazzini arabi subiscono violenza sessuale. Una violenza che, vi posso assicurare, incide profondamente sulla vita affettiva e sessuale futura di un essere umano: qulunque sia il suo orientamento. Eterosessuale, bisessuale o omosessuale.
Per esempio, da quando sono venuto in Italia e ho iniziato a vivere serenamente i miei amori non ho mai permesso a nessun uomo e a nessuna donna di toccarmi là, neppure di sfiorarmi. Giuro che chiunque ci provi si ritrova riempito di pugni. Lo so che è sbagliato questo mio atteggiamento, ma neppure quando uno o una mi fa un pompino gli permetto di tenere le mani dietro. È una cosa che mi terrorizza, mi manda fuori di testa, non riesco a controllarmi. A me piacerebbe vivere il mio corpo in modo libero, sia quando faccio sesso con una donna che quando sono con un uomo, ma mi blocco. Anche a me piacerebbe provare il godere che vedo e che sento nei ragazzi quando faccio sesso con loro, ma solo il pensiero di qualcosa che mi sfiora dietro mi manda nel panico. Anche i rapporti orali mi eccitano all’idea, ma i tentativi che ho fatto si sono fermati molto prima. Mi torna i mente il passato.
Così, per colpa di quei morti di figa che mi hanno violentato, fino ad ora non sono stato libero, e chissà se lo sarò mai, di amare come ho voluto. Come vorrei. Non si dimentica una violenza sessuale, la si rivive tutte le volte che si fa sesso con qualcuno. E’ atroce vivere e amare così.
Quello che mi rende molto triste è l’aver scoperto che la violenza sessuale contro i ragazzini arabi è perpetrata quotidianamente da sempre e così continuerà a esserlo perché i giovani restano muti per tutta la loro vita, nessuno denuncerà mai l’accaduto, nessun padre e nessuna madre si rivolgerà mai a un tribunale, anzi picchieranno il figlio al solo sospetto e ci sarà sempre una nonna, o chi per essa, a ficcare una manciata di peperoncino nel sedere del ragazzino che ha disonorato la famiglia.
E finché tutto questo non cambierà voi sarete liberi di farvi i vostri sogni sporcaccioni sulle violenze altrui. Almeno quando succedono nei paesi come il mio.
(11 luglio 2016)
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