di Il Capo
Insomma venne il tempo del redde rationem nel Pd: la resa dei conti auspicata da D’Alema e dai suoi Prodi (ops!), prodi è lì, dietro l’angolo, ed arriverà il 24 giugno (domani, ndr) all’interno della direzione nazionale post amministrative 2016 voluta dal segretario Matteo Renzi. Bersani, Cuperlo e D’Alema, cioè la corrente dei perdenti dell’ultimo ventennio e coloro che hanno preso meno del 20% alle ultime primarie, vogliono la testa del Segretario, ma non vogliono la testa del Premier. Cioè faccia quello che vuole nel governo, ma non ci rompa i coglioni nel partito.
Il ragionamento è bizzarro perché Renzi è uno e non due, ma loro, i grandi vecchi del partito che hanno perso tutte le elezioni possibili, lo trattano come se fosse due: il Renzi segretario, il Renzi premier. Il Renzi segretario è di troppo nel partito. Il Renzi premier mantiene il potere mantenendo il partito al Governo. Quindi va bene dove sta. Fino alla prossima mossa del partito per farlo fuori. Fantapolitica vuole che, data la sconfitta del Pd a Roma (ampiamente prevista) e a Torino (meno prevista, ma Fassino non è un renziano, e questo nella conta interna avrà il suo peso), i vertici del Partito Democratico chiederanno a Renzi di dimettersi. Quali vertici, se la segreteria Renzi ha una maggioranza nel partito del 70%? Lo statuto del Pd permette di indire primarie. Lo facciano e facciano votare iscritti e simpatizzanti. Magari serve anche a Renzi.
Il segretario premier, da parte sua, dovrà preparare qualcosa (e non è detto che non tiri fuori il coniglio dal cilindro al momento opportuno) per placare i malumori della minoranza che rema contro dal momento successivo al suo insediarsi a capo della segreteria. Ci auguriamo, non per questioni politiche, ma da osservatori, che le promesse del premier (che si sta trasformando vieppiù in un monarca, almeno nei modi, e questo non fa bene a lui e non fa bene al governo) non rimangano soltanto tali e che prenda l’occasione per operare mosse intelligenti affinché gli zombie della minoranza Pd che rema contro, escano dalla catatonia post primarie del 18% di Cuperlo, e diano la responsabilità definitiva a Renzi delle sue azioni. Fatto questo lo stesso segretario-premier non potrà nascondersi dietro il remare contro della minoranza interna.
Nel frattempo scoppia la guerra contro Orfini, il ministro Madia picchia pesante, e il partito della scaramuccia e della poltrona eterna, quella che dio me l’ha data (non c’è niente peggiore del catto-comunismo degli ex PCI) e guai a chi me la tocca (e non parliamo di una contessa qualunque), continua con il suo patetico spettacolo ad uso interno che di politico non ha nulla, ma che sembra più legato ad interessi territoriali (toscani contro emiliani contro romani contro torinesi, e tutti contro la maggioranza uscita dalle primarie). Nessuno, ma proprio nessuno (magari il premier lo farà) che sembri rendersi conto di quella che è la grande forza del M5S: ovvero che gli elettori sanno esattamente chi votano e votano il candidato che conoscono. Non il partito con le sue beghe.
Se i signori Bersani, Cuperlo, D’Alema, Renzi, Orfini, Madia e via e via [cit.] volessero accorgersene, dato che non è un’intuizione per pochi…
(23 giugno 2016)
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