di Il Capo
Il Vate del partito de La Repubblica fu eletto come indipendente nelle liste del PSI nel 1968 e fu deputato per quattro anni, fino al 1972. Grande conoscitore della politica italiana, seguito nei primi vagiti di La Repubblica da lettori che nei suoi colti ed interessantissimi articoli trovavano spunti di riflessione personale e politica e da politici che cercavano di capire cosa succedeva a sinistra, Eugenio Scalfari ha poi cominciato a crederci e credendoci a pensare che poteva anche essere carino crearsi un nemico ogni tanto contro il quale lanciare strali via carta stampata. Ce ne sono stati diversi di nemici: primo tra tutti Bettino Craxi, inviso alla direzione de La Repubblica che lo attaccò in tutti i modi possibili, poi ci fu Berlusconi attaccato troppo poco e troppo male, ed ora c’è Matteo Renzi. Perché Scalfari non è solo un giornalista, o meglio “il” giornalista che non sbaglia mai, è anche un po’ dio come tutti coloro che in questo paese ritengono di avere la missione di salvare l’Italia dai barbari. Che sono sempre gli altri.
Il suo fastidio nei confronti di Matteo Renzi è noto: un fastidio inspiegabile perché La Repubblica è stata il principale sponsor della nascita del Partito Democratico, con la famosa tessera numero uno a Carlo De Benedetti, per dirne una, o meglio spiegabilissimo. Scalfari è infastidito da Matteo Renzi. Perché? Non sappiamo, ma è possibile che l’attuale segretario del Pd abbia pensato di smetterla di chiedere pareri a Scalfari limitandosi a fare ciò che ritiene opportuno.
Si ha proprio la sensazione di un’antipatia personale del Vate del partito de La Repubblica verso il presidente del Consiglio, leggendo l’ultimo dei suoi innumerevoli editoriali-vangelo del radicalismo chi, attraverso il quale si dirige direttamente all’inquilino di Palazzo Chigi.
Se Renzi vince sarà padrone, se perde si apre uno scenario nuovo sul quale è molto difficile fare previsioni. Personalmente — l’ho già detto e scritto — voterò no, ma non tanto per le domande del referendum quanto per la legge elettorale che gli è strettissimamente connessa. Se Renzi cambia quella legge (personalmente ho suggerito quella di De Gasperi del 1953) voterò sì, altrimenti no. E immagino che siano molti a votare in questo stesso modo. Pensaci bene, caro Matteo; se anche vincessi per il rotto della cuffia sarai, come ho già detto, un padrone. Ma i padroni corrono rischi politici tremendi e farai una vita d’inferno, tu e il nostro Paese.
Io non so ancora come voterò al referendum, sto studiando. Come molti italiani. Perché tutti, anche senza gli editoriali di Scalfaro, gli attacchi isterici di Bersani e i richiami alla libertà di Salvini e Meloni (da che pulpito…!), tutti gli italiani sono lì che si informano, ascoltano, studiano, leggono, cercano di capire e non sono affatto travolti dal giochetto del “padrone” di scalfariana citazione che andrebbe a fare dell’Italia ciò che vuole. Non abbiamo l’ardire di paragonarci a Scalfari, ci mancherebbe altro, ma rispetto a lui abbiamo una fortuna, anzi due: con le persone comuni ci parliamo tutti i giorni e non abbiamo la presunzione di volerle “guidare” perché sono un po’ pecore. Cosa che riteniamo ci faccia onore.
Personalmente, sono profondamente infastidito da questi personaggi che l’unica cosa che vogliono è avere il bastone del comando, e che se poi te li fai nemici muovono mari e monti per spezzarti gambe e reni travestendosi da democraticissimi grilli parlanti che avvertono di dittature padronali e pericoli vari, ed accusando qualcun altro di voler essere il padrone. Voi non provate un fastidio simile?
Ebbene, piuttosto che gli editoriali di un uomo molto in là con gli anni che è solo capace di soffermarsi su ciò che non lo vede d’accordo nelle scelte di Giachetti, di Fassino, di Renzi, di Pannella pre e forse anche post mortem o della legge elettorale proposta da De Gasperi nel 1953, preferisco quasi quasi informarmi da solo poi decidere come votare. Di che razza di disgustosa arroganza siam fatti noi che vogliam fare di testa nostra, vero?
(23 maggio 2016)
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