di Giovanna Di Rosa
Vogliamo prendere spunto da un intelligente articolo che Aurelio Mancuso ha scritto per Gaiaitalia.com intitolato “Il Movimento è morto, viva il Movimento!” nel quale si sottolinea, dopo l’approvazione della Legge sulle Unioni Civili, un ricambio generazionale nella dirigenza dell’associazionismo LGBT che andrà a confrontarsi con le forze politiche per l’ottenimento del matrimonio egualitario, di una legge contro l’omofobia che abbia un senso (e la leggina Scalfarotto un senso non ce l’ha!) e delle altre istanze con le quali inevitabilmente l’ancora troppo immaturo associazionismo LGBT dovrà confrontarsi in futuro.
Al contrario di quanto intelligentemente auspicato da Aurelio Mancuso ciò che vediamo in giro è un “presidenzialismo” LGBT che va più nella direzione di una visibilità ancora troppo spesso fine a sé stessa, di un protagonismo da sedicenti attivisti, piuttosto che in quella di una pratica continua tesa alla collaborazione ed all’attenzione a non mischiare il proprio ruolo di attivista con la pratica politica in sé. I paesi che per primi hanno conquistato i diritti civili egualitari per le persone omosessuali si distinguevano (e continuano a distinguersi) principalmente per l’intelligente scelta dei loro attivisti di non sedere in parlamento o nei consigli comunali, provinciali o nelle assemblee regionali, almeno non prima di avere lasciato l’impegno “da attivista”. Il compianto politico socialista spagnolo Pedro Zerolo, scomparso troppo presto, è stato un esempio di lungimiranza ed intelligenza politica e dovrebbe essere preso ad esempio. Potrà l’Italia realizzare l’obbiettivo di un attivismo LGBT preparato, intelligente, al passo coi tempi auspicato da Mancuso?
Temiamo di no, anche se il momento è ora.
L’associazionismo LGBT, soprattutto quello legato ai fasti [sic] del passato e che ora si trova con un pugno di iscritti chiedendosi “perché? che cosa ho fatto?”, continua a perpetuare l’antica tradizione di credere che il sedicente attivista sia migliore degli altri perché è un sedicente attivista, con il risultato di trasformare quelle che con troppa faciloneria chiamo la “rappresentanza per gli altri” in una specie di “á la guerre!” alla Giovanna D’Arco. In un autoincensarsi fuori luogo e politicamente inutile oltre che in un continuo “eravamo in dieci perché gli altri non capiscono”, tipica autoproclamazione di chi cerca soltanto il modo di sentirsi qualcuno. Troppi di questi cialtroni l’associazionismo LGBT ha avuto in passato ed il consiglio di Aurelio Mancuso (che è politico accorto ed intelligente che troppi, a torto, sottovalutano), andrebbe ascoltato non per quell’omaggio ai padri che i presuntuosi figli giustamente disdegnano, ma perché il tempo di coloro che in nome del loro ego rivendicano potere e visibilità è definitivamente tramontato. E per i ventenni (e i sessantenni con teste da ventenni) per il quale essere omosessuali è ancora soltanto essere avere una carica, coltivere il proprio orticello da dieci iscritti (dodici quando va bene) che osannano il presidente, evviva il presidente, cosa farei senza il presidente e scrivere post demenziali contro chi non la pensa come loro, oltre a cercare la visibilità fine a sé stessa con manifestazioni discutibili come certe foglie di fico in piazza, proprio non c’è più posto.
(14 maggio 2016)
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