di Monica Maggi twitter@libraiapertutti
Sadiq Khan è il primo sindaco musulmano di Londra. La stampa inglese e internazionale ha reagito stranamente, ed è stata una reazione che si è estesa (quella della perplessità, appunto) anche tra le frange avanzate, emancipate e progressiste della “ordinary people”. “Hum…” ho sentito dire da persone al mercato, sull’autobus, in metro, nei negozi (eh sì, una Direttrice è un po’ dovunque) “questo sindaco… E che scelte farà… E chi priviligerà… E chissà cosa accadrà…”.
Nulla, non accadrà nulla e accadrà tutto il possibile che non possiamo immaginare. D’altra parte come possiamo avere in mano situazioni accertate e verificate, una Storia che possa dirci che è andato bene o no, ora? Dobbiamo solo darci tempo, con un salto generazionale di almeno quattro generazioni per un totale di 20-25 anni.
Pensiamoci bene. La pillola contraccettiva è stata approvata per uso di controllo delle nascite negli Stati Uniti d’America nel 1960, ed in seguito è divenuta molto popolare anche da noi. In Italia è arrivata nei primi anni ’70, io stessa ne ho cominciato a fare uso attraverso i rivoluzionari consultori famigliari Aied nel 1974-75. Il clima di accoglienza non è stato dei migliori. Si parlava di bomba ormonale, di rischio tumore, e forse si premeva il pulsante su queste paure perchè si continuassero ad ingrassare le fila di medici e mammane e amici vari che con due soldi ti facevano interrompere gravidanze clandestinamente (per te) e lucrosamente (per loro).
Oggi in Italia il 16,2% delle donne tra i 15 e i 44 anni utilizza la pillola (14º posto in Europa, davanti solo a Spagna, Slovacchia, Polonia e Grecia). Il maggiore uso della pillola in Italia è in Sardegna, dove il 30,3% delle donne la utilizza. Come valutare oggi la decisione di una legge (la 194 del 1978 che permette l’interruzione di gravidanza) e l’ingresso di farmaci contraccettivi?
Lascio a voi la risposta. Ma certo se avessimo dovuto ascoltare il senso di paura saremmo ancora qui a farci perforare l’utero dai ferri da calza.
Ancora. Unioni civili e figli di famiglie omogenitoriali. Ve le ricordate le reazioni inorridite di qualche anno fa? Dio mio… I figli DEVONO avere genitori maschio-femmina, e questo sempre (anche se lui massacra di botte lei o lei manifesta situazioni maniaco depressive e via di questo passo). Cominciamo col fornire qualche dato: dai primi rapporti psicologici sulle famiglie omogenitoriali sono passati oltre 40 anni (il primo fu Osman nel 1972). Una ricerca internazionale (la Adams e Light del 2015) dice che dal 2000 ad oggi sembrano non vi siano problemi di disagio psichico tra i figli di coppie omogenitoriali. Oddio, non mancano le voci discordi, e non è tutto rosa e fiori. Però, guarda un po’, sono tutte voci legate e vicine alla realtà accademica cristiana. In realtà solo 4 (Sarantakos, 1996; Regnerus, 2012; Sullins, 2015; Allen, 2013, quest’ultimo con taglio economico), e tutti immediatamente sconfessati da autorevoli voci scientifiche. Regnerus addirittura ha fatto marcia indietro.
Oggi siamo infatti in attesa di tre grandi studi sulle famiglie contemporanee: l’ “Australian Study of Child Health in Same-Sex Family” su 315 genitori con 500 figli tra gli 0 e i 17 anni; la “Research on New Family Forms” sui padri gay; il “New Parents Study” sullo sviluppo del primo anno di età dei bambini nati da procreazione assistita, sia in famiglie omosessuali che in quelle eterosessuali. Chissà cosa ci diranno.
Se dovessi continuare di questo passo, dovrei parlare anche di divorzio, televisione, forno a microonde, lavatrice e lavastoviglie, medicina omeopatica, voto alle donne, metropolitana, e via così.
In una parola, tutto ciò che fornisce, autorizza e produce cambiamento, produce anche perplessità, paura e horror vacui, il terrore appunto del vuoto. Ma vuoto deve essere, perchè di cosa lo riempiamo allora se non di cambiamento?
Anche la scelta dell’Editore di dare ad una donna madre, moglie, nonna, femmina e di identità fluida e per di più con un cognome glutammatico, la direzione di questo quotidiano online che filtra le notizie e le trasmette dal punto di vista dei diritti umani, anche di quelle omosesssuali, senza per questo essere etichettato o porsi all’interno di un circuito definitivo istituzionalmente omosessuale (e spesso ponendosi duramente di traverso) magari produrrà perplessità.
Ma la meraviglia sta tutta qua. Non sappiamo nulla ma (come diceva un Battisti a destra amato tanto dalla sinistra, nella sua “Con il nastro rosa”) “…lo scopriremo solo vivendo”.
Monica Maggi
(8 maggio 2016)
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