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“Giustappunto!” di Vittorio Lussana: “Il Riverbero di Gramsci”

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Vittorio Lussana 02di Vittorio Lussana  twitter@vittoriolussana

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Per riuscire a comprendere il dibattito in corso in questi giorni su giustizia e politica, o tra quest’ultima e corruzione, sarebbe necessario fare un passo indietro, per tornare alla stagione dei Governi di centrosinistra degli anni ’60. Quella fu, infatti, una grande ‘occasione mancata’ per il nostro Paese, in cui una serie di esecutivi riformisti di un’Italia finanziariamente non dissestata fallirono la loro ‘mission’ non soltanto perché non riuscirono ad assicurare una guida stabile alla grande modernizzazione in atto, bensì per la loro comatosa ‘inazione’, la quale segnò il tramonto definitivo di ogni possibile o auspicabile ‘nazionalizzazione democratica’: una prospettiva di cittadinanza civile da costruire attorno a valori comuni. Preceduto da un dibattito ragguardevole, il funzionamento effettivo della ‘formula’ del centrosinistra avrebbe potuto ‘emendare’ il Paese tramite la preminenza degli interessi generali sulle rivendicazioni soggettive, specifiche o anche semplicemente individuali; da un’idea di libertà personale completamente ‘sganciata’ da ogni ‘senso dello Stato’ o da una qualsiasi ‘forma’ di etica civile e collettiva. Le istanze di avanzamento degli italiani emersero inderogabilmente per le incapacità palesate dall’alto di prevederle e anticiparle. E la ‘grammatica’ di quella domanda di cambiamento finì con lo ‘sfilacciarsi’ tra i ‘cortocircuiti’ di un marxismo-leninismo sempre più avulso dalla realtà, che pretese, a suo modo, di interpretarla. In quel preciso ‘passaggio’ della nostra Storia più recente vi sono, insomma, le cause reali dei nostri continui ‘sbalzi’ da un eccesso all’altro, in ogni settore o situazione: politico, economico o sociale. Completamente privi di autentiche tradizioni liberali, gli italiani si ritrovano da sempre costretti a ‘concettualizzare’ le proprie richieste politiche nel ‘linguaggio’ più disponibile su quello che, ormai, è divenuto un vero e proprio ‘supermercato’ delle idee. Ma tutto questo è frutto di una concezione della libertà in quanto sottoprodotto del dispotismo: un malanno cronico, che si traduce nell’inosservanza delle leggi; nell’arbitrio individualista; nel ‘privatismo rapace’; in una discrezionalità a mezza strada tra il ‘teppismo’ e la furbizia. Tratti anarcoidi e ‘plebei’, in cui si ‘annida’ uno dei ‘nodi’ più contorti della nostra intera vicenda nazionale: quello che Antonio Gramsci definì “il ‘sovversivismo’ delle nostre classi dirigenti”. E crediamo che, intorno a ciò, questo intelligente pensatore sardo avesse – e continui ancora oggi ad avere – pienamente ragione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(28 aprile 2016)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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