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Impopolarissimo articolo sugli arresti di omosessuali in Tunisia, ora insultateci

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di Gaiaitalia.com

 

 

 

 

Molte pagine di molti siti e quotidiani si sono riempiti di indignazione per la sorte di una decina di persone omosessuali, tra di loro due donne, che in Tunisia sono state arrestate (e tre di loro ri-arrestati) per omosessualità. E’ una indignazione pienamente giustificata, tutte le azioni che verranno intraprese sono azioni legittime, ma né l’indignazione né le azioni gioveranno a questi giovani. I motivi sono differenti: primo tra tutti la legge che punisce i rapporti omosessuali tra adulti consenzienti con pene fino a tre anni di carcere; secondariamente una cultura che non comprende la relazione omosessuale così come noi la concepiamo, ma che la taccia di vizio paragondandola alla pedofilia; il fatto che l’omosessuale definito tale è soltanto l’omosessuale cosiddetto “passivo” mentre chi assume un ruolo attivo omosessuale non viene considerato zamel, spesso nemmeno dai giudici; pregiudizi sociali nei confronti dell’omosessualità di tipo “occidentale” fortissimi e non sradicabili in tempi brevi. Quali che siano le petizioni che firmeremo in Italia e in Europa.

Siamo pronti agli insulti, ma non possiamo esimerci dal dire che questo tipo di azioni fanno bene all’associazionismo di casa nostra, sono cause che servono a mantenere alta l’attenzione sul rispetto dei diritti umani di tutti, ma non cambiano di una virgola i pregiudizi delle società cui pretendono di risolvere ed ai protagonisti di questa tristissima vicenda, fanno più bene che male.

E’ la Legge tunisina, sbagliata quanto si vuole, a stabilire che l’omosessualità è un reato. Sotto Ben Alì ad esempio, la legge veniva applicata rarissimamente e solo – come in questo caso – quando c’era la testimonianza diretta di cittadini tunisini che indicavano loro concittadini coinvolti in atti omosessuali. Si faceva, oggi come allora, per evitare il “pubblico scandalo”. Se la legge prescrive tre anni di carcere e viene comminato solo un mese, è perché i giudici in qualche modo intercedono, non è grazie alle azioni (pieno diritto di esercitarle) delle associazioni LGBT italiane ed europee o alla loro raccolta di firme. I popoli di quell’area, chi scrive conosce assai bene quel paese, dove ha passato molto tempo e nel quale ha studiato, non vivono bene le ingerenze europee nei loro affari interni. Diverso è il discorso per i governanti tunisini, consapevoli della necessità di ammodernare le leggi e le pene legate alle libertà individuali, ma i processi di cambiamento sono lenti ed il nostro giudizio sommario su ciò che accade in altri paesi ignorando le ragioni degli accadimenti serve a pochi. E sicuramente non serve a loro.

Ci diranno che bisogna mettersi dalla parte delle vittime. E’ proprio da quella parte che ci mettiamo consapevoli che una troppo forte pressione ed attenzione sulla questione non farà, per quelle che sono le condizioni politiche del paese, con i Salafiti in grande spolvero, il partito islamista (seconda forza politica tunisina) che si nasconde dietro una moderazione di facciata impostagli dalle urne e gli scontri alla frontiera con i terroristi dell’Isis, che aumentare l’attenzione sulle giovani vittime della discriminazione rischiando di peggiorarne la situazione.

Il movimento per la depenalizzazione dell’omosessualità in Tunisia sta prendendo piede, ma i rischi sono altissimi, principalmente dovuti alla sempre presente possibilità di islamizzazione del paese. La posta in gioco è altissima. Occorre anche la nostra prudenza. Noi che troppo spesso ci dimentichiamo dove stiamo e dove eravamo soltanto trent’anni fa.

Ora insultateci.

 

 

 

 

(5 aprile 2016)

 





 

 

 

 

 

 

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